LE CATENE CINETICHE
I termini di “catena muscolare” e “catena cinetica” sono comuni tra fisiatri, fisioterapisti e cinesiologi ma sempre più frequentemente si usano anche nel linguaggio dello sport perché meglio di altri aiutano a descrivere i complessi fenomeni biomeccanici che sono alla base dell’esecuzione del gesto atletico.
La fisica enuncia che una catena cinetica è un sistema composto da segmenti rigidi uniti tramite giunzioni mobili definite snodi. Il metro a stecche, quello da muratore, è l’esempio più comprensivo e calzante che si possa fare per assimilare il concetto di catena cinetica. Il nostro organismo è composto da tante catene cinetiche, i segmenti sono rappresentati dalle ossa mentre le articolazioni rappresentano i giunti. I muscoli sono il “motore” della catena cinetica.
Questa definizione di tipo ingegneristico, però, non è applicabile completamente nella fisiologia del movimento umano perché l’apparato muscolare non può essere paragonato ad un sistema meccanico rigido, ma è da considerare come flessibile e plastico. Nel sistema cinematico è infatti possibile, ad esempio, ricavare le velocità relative di tutti gli elementi del sistema dopo aver fissato la velocità relativa di un elemento rispetto ad un altro qualsiasi. Cosa impossibile per i muscoli. E non è possibile neppure ricavare e scomporre con precisione le forze dei vari anelli muscolari (cinetica).
Malgrado queste diversità e con le relative approssimazioni, lo studio delle catene “cinetiche muscolari” risulta molto utile nella interpretazione del movimento sportivo e, come vedremo, può avere interessanti ripercussioni anche in ambito clinico.
Per descrivere le catene cinetiche è necessario utilizzare due termini convenzionali che sono:
– Prossimale = vicino al centro o alla linea mediana del corpo
– Distale = lontano dal centro o dalla linea mediana del corpo (contrario di prossimale)
- CATENA CINETICA APERTA
S’intende per catena cinetica muscolare aperta il sistema in cui l’estremità distale (quindi più lontana) è libera, priva di alcun vincolo. Esempi sono l’arto inferiore durante la deambulazione nella fase oscillante, l’estensione della gamba in posizione seduta, muovere il braccio nel gesticolare o nel lanciare un oggetto e così via. - CATENA CINETICA CHIUSA
L’estremità distale della catena motoria è fissa, ossia non libera di muoversi durante l’esecuzione del gesto. Esempi sono l’arto inferiore nella deambulazione nella fase di appoggio del piede, gli arti superiori che spingono contro una parete o gli arti inferiori in un individuo che solleva un peso da terra. - CATENA CINETICA FRENATA
Quando la resistenza esterna distale di una catena cinetica è inferiore al 15% della resistenza massimale che essa riesce a spostare, si può ritenere la catena aperta (o poco frenata), se invece tale resistenza supera il 15% la catena è chiusa (o molto frenata). Si crea, in questo caso, una condizione che limita l’apparato locomotore nella sua libertà di movimento.
Il gesto sportivo si articola, generalmente, attraverso l’uso alternato di catene cinetiche aperte e chiuse. L’esempio più classico è la corsa nella quale, come detto in precedenza, l’arto inferiore lavora a catena chiusa nella fase di appoggio e aperta nella fase di slancio, mentre l’arto superiore, oscillando, opera costantemente in catena aperta.
Alcuni sport, tuttavia sono caratterizzati da movimenti che avvengono prevalentemente a catena chiusa. Tra questi possiamo citare il canottaggio ma, in particolare, il ciclismo che vincola l’atleta rigidamente al mezzo meccanico su due punti fissi, sella e manubrio, ed un punto mobile rappresentato dal pedale che presenta una resistenza al movimento generalmente superiore al 15% del massimale (catena frenata).
BIOMECCANICA DELLE CATENE CINETICHE
Per la realizzazione dei movimenti balistici (come il lancio di una palla) sono necessarie le catene aperte o poco frenate, che si realizzano con il progressivo aumento della velocità man mano che si scende verso l’anello distale (mano). È necessario, inoltre, il fissaggio del segmento prossimale attraverso il coinvolgimento di muscoli stabilizzanti. Altra caratteristica delle catene aperte è che l’ordine d’attivazione muscolare avviene in senso prossimo-distale ossia dal centro alla periferia.
La biomeccanica delle catene cinetiche chiuse va considerata in senso opposto a quelle aperte, dove l’estremità distale è rappresentata dall’articolazione stabilizzante, e la direzione dell’attivazione muscolare avviene in senso caudo-prossimale (dalla periferia al centro). Per anello stabilizzante nella catena cinetica chiusa, intendiamo l’articolazione che, grazie ai suoi muscoli fissatori, solidarizza l’arto alla resistenza esterna.
Nel ciclismo i muscoli attivati per stabilizzare il movimento sono quelli che agiscono sui punti di vincolo fisso (impugnatura del manubrio e sella) ossia quelli dell’arto superiore e del tronco.
Una conseguenza biomeccanica rilevante tra i due tipi di catene è che la funzione cinesiologica di uno stesso muscolo può variare, anche diventando opposta, a seconda che questo sia inserito in una catena cinetica aperta o chiusa. Un esempio: in posizione accovacciata (catena chiusa), nel tentativo di riguadagnare la posizione eretta, il soleo estende la tibia, i due gemelli trascinano indietro i condili femorali, gli ischio crurali estendono l’anca e tirano posteriormente il piatto tibiale; pertanto, i gemelli e gli ischio crurali (flessori del ginocchio in catena aperta) diventano in catena chiusa agonisti del quadricipite.
Un fenomeno assai simile avviene nel ciclismo come evidenziato nella figura 1. La fase di estensione dell’arto inferiore, che coincide con la fase di spinta sul pedale, è caratterizzata infatti dall’intervento apparentemente paradossale dei muscoli flessori (bicipite femorale, semimembranoso, ecc.) oltre che dall’azione di gluteo, retto femorale, vasti ecc.
Figura 1 (da Jorge et Hull, 1985)
Legenda:
1 = Grande Gluteo 2 =Retto Femorale 3 = Vasto mediale
4= Vasto Laterale 5 = Tibiale Anteriore 6 = Gastrocnemio
7 = Bicipite femorale 8 = Semimembranoso
CONSEGUENZE SULLA POSTURA
Uno sport, come il ciclismo, caratterizzato da movimento a catena chiusa, a parte gli interessanti risvolti fisiologici e biomeccanici, presenta generalmente un aumento del rischio di incorrere in patologie da sovraccarico dell’apparato locomotore.
Il sistema muscolo-scheletrico, infatti, è costretto a lavorare in una posizione rigidamente costretta da precisi punti di vincolo posizionati in maniera simmetrica nello spazio. In presenza di dismorfismi e paramorfismi come scoliosi, alterazione delle curve nel piano sagittale, asimmetrie degli arti, alterazioni della postura del bacino (rotazioni, eccesso di antiversione o retroversione) l’organismo non dispone sempre della necessaria possibilità di modificare la postura per adattarsi al mezzo come avviene facilmente nel movimento a catena aperta.
Si deve, a questo proposito, ricordare che nei decenni passati, quando si utilizzavano calzature di cuoio, pedali a cestello e telai più flessibili, le asimmetrie dell’apparato locomotore potevano essere in parte compensate dalla plasticità del mezzo.
In presenza di dismorfismi, quindi, la postura tenuta in sella per periodi lunghi, può determinare un sovraccarico meccanico di alcune delle componenti muscolo-sceletriche. Le asimmetrie degli arti o dell’appoggio plantare e le scoliosi, in particolare, determinano importanti modificazioni della posizione reciproca del bacino, dei segmenti della colonna vertebrale e delle articolazioni dell’arto inferiore con inevitabili alterazioni nella distribuzione del carico meccanico su ciascuna delle componenti. Nel Box 1 sono elencate le principali sedi di insorgenza delle patologie da sovraccarico mentre nel Box 2 sono descritte le principali concause che determinano questi quadri clinici consistenti in errori di regolazione del mezzo.
COME SFRUTTARE LA CATENA CHIUSA DAL PUNTO DI VISTA CLINICO
Gli sport a catena chiusa non presentano solamente aspetti negativi. L’essere rigidamente vincolati al mezzo meccanico consente, innanzi tutto, di poter agire sullo stesso per ottimizzare confort e prestazione.È infatti possibile creare configurazioni specifiche per le singole specialità ciclistiche. Esempio sono le posizioni utilizzate nelle prove a tempo o nelle discipline della pista o, ancora, nel mountain-bike, posizioni che si differenziano profondamente da quelle adottate nelle prove su strada.
Dal punto di vista medico, inoltre, se da una parte i vincoli imposti dalla bicicletta possono essere causa di eventi patologici, dall’altra tali processi possono essere trattati, spesso con notevole successo, proprio attraverso la regolazione del mezzo.
Una tendinopatia di un maratoneta o una pubalgia di un giocatore di calcio rappresentano generalmente un problema clinico di difficile soluzione. La resistenza alla terapia di patologie da sovraccarico in sport a catena aperta nasce proprio dalla possibilità di modificare il gesto atletico per compensare i difetti posturali che spesso ne sono alla base. L’atleta adotta strategie motorie sempre più complesse all’insorgere dei primi problemi nel tentativo di alleviare i sintomi e mantenere, nel contempo, la condizione di equilibrio necessaria al compimento dell’azione tecnica. Ciò esaurisce via via le possibilità di compenso e favorisce il cronicizzarsi delle lesioni. In questi casi, oltre al trattamento locale della patologia, il processo di guarigione prevede una complessa rieducazione posturale ed il ripristino di corretti schemi motori. Le conseguenze sui tempi di guarigione e sulle ripercussioni in ambito prestativo sono immaginabili.
Negli sport a catena chiusa la patologia da sovraccarico si presenta precocemente e generalmente non può essere risolta dall’atleta modificando, se non parzialmente, la strategia di movimento per i vincoli imposti nel movimento.
In questi casi piccole modifiche apportate al mezzo consentono il ripristino di un buon grado di equilibrio generale e, variando la distribuzione del carico sull’apparato locomotore, possono rimuovere le ipersollecitazioni meccaniche causa delle lesioni.
Il danno, a meno che per necessità di tipo prestativo o per sottovalutazione del problema l’atleta sia costretto a convivere con il dolore, tenderà quindi a cronicizzare meno facilmente e le riserve di compenso fisiologico saranno meno intaccate.
GLI INTERVENTI SULLA BICICLETTA NELLE PATOLOGIE DA SOVRACCARICO
Oltre alle classiche operazioni di corretta regolazione della bicicletta descritte nel Box 2, in caso di paramorfismi che determinano rotazioni (spalle e bacino) e difetti di assialità di movimento del tronco e degli arti inferiori (tipico il valgismo dinamico del ginocchio), la correzione più efficace è nell’ottimizzazione dell’appoggio plantare.
La funzione del piede nel ciclismo merita alcune considerazioni particolari. Nella dinamica della pedalata, infatti, ciascuna articolazione e muscolo coinvolti ricoprono uno specifico compito che si differenzia nettamente da quelli ricoperti nella maggior parte dei movimenti sportivi.
L’azione dell’apparato locomotore, infatti, è tutta orientata a trasmettere energia alla bicicletta con modalità assai diverse rispetto a quelle utilizzate, ad esempio, nell’eseguire un passo di corsa, un salto o un lancio. L’azione è ciclica e caratterizzata dal ripetersi di medesime traiettorie ed angoli. Nell’ambito della specificità della dinamica della pedalata, al piede spetta una funzione molto importante: quella cioè di trasmettere la forza esercitata dalle catene muscolari dell’arto inferiore al pedale. Spesso si tratta di forze molto elevate, pensiamo alle improvvise accelerazioni o agli “strappi” in salita, ma, soprattutto, di carichi che si ripetono un numero elevatissimo di volte nel tempo. Un atleta che percorre 30.000 chilometri l’anno esegue circa cinque milioni di cicli di pedalata!
Il piede e caviglia risultano essere, inoltre, un vero e proprio elemento di compenso per tutte quelle situazioni che alterano la simmetria di movimento. Tali distretti non contribuiscono, infatti, in maniera rilevante nella dinamica del movimento per una minore capacità di erogare potenza rispetto agli altri elementi della catena cinetica coinvolti nella pedalata.
In altri termini, sono i muscoli estensori dell’arto inferiore (glutei, quadricipite femorale, ecc.) che producono energia motrice sulla bicicletta. Piede e muscoli accessori hanno funzione di sostegno, trasferendo tale energia al pedale. Questo è il motivo per cui gli angoli di lavoro, dai quali ricordiamo dipende la capacità di erogare forza, di anca e soprattutto ginocchio hanno la necessità di rimanere in un range ottimale e simmetrico (tutta la letteratura scientifica concorda su questo punto).
Il piede e la caviglia, viceversa, possono modificare il loro angolo di lavoro per compensare asimmetrie, rotazioni e difetti di assialità corporei, perché tale adattamento non comporta una rilevante perdita di potenza.
Nei casi nei quali le capacità di compenso fisiologico non sono sufficienti a garantire un sufficiente equilibrio motorio generale, il piede può essere sede di regolazioni utili a tal fine.
DOVE E COME SI INTERVIENE?
L’azione di trasferimento dell’energia meccanica al pedale avviene attraverso una ristretta area di rappresentazione dell’impronta del piede.
Mentre nell’esecuzione della maggior parte delle azioni sportive viene utilizzata gran parte della pianta, all’interno dello scarpino invece la maggior parte della spinta è concentrata in una piccola zona corrispondente, con buona approssimazione, alle cinque teste metatarsali (arco anteriore trasverso) ed a parte dell’alluce.
Questo è certamente un elemento importante dal punto di vista biomeccanico: l’area di pressione, infatti, per essere più efficace deve essere prossima al pedale, in altri termini il centro di spinta all’interno dello scarpino deve essere il più possibile vicino alla proiezione verticale dell’asse del pedale. Ogni piccolo errore di posizionamento (tacchette) determina, infatti, perdita di parte dell’energia meccanica che deve essere trasferita alla pedivella e un lavoro supplementare da parte della muscolatura per stabilizzare l’articolazione. È, inoltre, il presupposto alla base delle tecniche di correzione posturale.
Si tratta, innanzi tutto, di effettuare una corretta valutazione del problema dal punto di vista clinico e biomeccanico utilizzando, quando possibile, sistemi di analisi della pedalata e dell’appoggio plantare.
Una volta effettuata la diagnosi, il piede può essere corretto e quindi stabilizzato con l’uso di idonee ortesi plantari o lavorando all’interno dello scarpino mediante l’inserimento di piccoli spessori (1-3 mm) a livello delle teste metatarsali.
Tale operazione determina effetti sorprendenti sulla dinamica di tutto l’apparato locomotore.
A proposito di plantari, è bene sottolineare alcuni aspetti che riguardano uno dei presidi terapeutici più discussi in ambito ortopedico. Il plantare utilizzato dal ciclista deve avere, come detto, caratteristiche di correzione o compensazione del tutto peculiari. In altri termini un plantare costruito per migliorare l’appoggio nella stazione eretta, nel cammino o nella corsa non può avere gli stessi risultati nell’esecuzione della pedalata.
Il motivo si desume da quanto fin qui esposto. Dato che i plantari utilizzati per camminare intervengono prevalentemente sulla correzione e stabilizzazione del retropiede e talvolta a livello dell’arco plantare, questi non possono essere idonei per il ciclista in quanto i distretti sollecitati dal punto di vista meccanico nella pedalata sono, come abbiamo visto, completamente diversi.
Il plantare per uso ciclistico deve agire, infatti, lì dove si concentra la spinta e quindi agire a livello dell’arco plantare anteriore.
BOX 1 – SEDI PIÙ FREQUENTEMENTE INTERESSATE DA PATOLOGIE DA SOVRACCARICO
1) Ginocchio
Il ginocchio è sicuramente l’articolazione maggiormente sollecitata nella pedalata e sede di problemi clinici. Il ginocchio del ciclista opera tra una estensione minima di circa 80°, che si realizza approssimativamente al Punto Morto Superiore, ed una estensione massima di circa 150°, che si realizza approssimativamente al Punto Morto Inferiore.
Il movimento di flesso estensione del ginocchio è, in realtà, complesso poiché implica anche una rotazione della tibia sotto il femore, così che in posizione di estensione massima la tibia risulta in rotazione esterna di circa 17° rispetto al femore.
Nella estensione dell’articolazione si verifica una pressione femoro-rotulea quale componente della risultante della forza di contrazione del quadricipite e della resistenza del tendine rotuleo. Questa componente tende a comprimere la cartilagine rotulea contro la cartilagine del femore.
La resistenza della cartilagine articolare rotulea a questa pressione, ripetuta per migliaia di volte, condiziona l’apparizione dei disturbi che si possono verificare durante l’attività.
Se è presente anche una minima anomalia di posizione della rotula, l’azione della componente orizzontale avviene con la presenza di zone di sovraccarico cui corrisponde l’insorgere di fenomeni localizzati di deterioramento e usura dei tessuti biologici: cartilagine articolare, tendine rotuleo.
Cause predisponenti sono: anomalie congenite di posizione della rotula; l’insufficiente lunghezza del tendine; il piede cavo; una eccessiva pronazione dell’avampiede.
2) Colonna vertebrale
Nonostante questo sport riduca il carico ponderale sulle articolazioni della colonna vertebrale e degli arti inferiori, un’altra patologia di riscontro relativamente frequente è la lombalgia.
Anche in questo caso le cause che determinano questi problemi sono legate ad errori di posizionamento sul mezzo accentuati dalla presenza di anomalie e patologie congenite delle strutture ossee.
Innanzitutto è fondamentale avere gli arti inferiori perfettamente simmetrici sia in lunghezza che nei diametri muscolari. In presenza di un arto più corto di un centimetro, il piede bloccato saldamente alla calzatura ed al pedale determina una maggior estensione del polpaccio e del bicipite femorale. Ne consegue una diversa “trazione” posteriore con possibili risentimenti dei tendini della caviglia e lombalgia da sforzo, inoltre ciò può portare a una scoliosi funzionale (atteggiamento scoliotico).
3) Tendine di Achille
Le infiammazioni del tendine di Achille, fortunatamente rare, sono spesso causate da presenza di piede cavo o da una eccessiva pronazione dell’avampiede.
4) Muscolatura
Alterazioni della postura possono, infine, determinare problematiche a livello della muscolatura: i gruppi che più si manifestano sensibili sono gli ischio-crurali (muscoli flessori della gamba) che possono andare incontro a contratture e infiammazioni inserzionali (sindrome del piriforme). Raramente è interessata la muscolatura estensoria della gamba ed il muscolo ileo-psoas (profondo del bacino).
BOX 2 – ERRORI DI REGOLAZIONE DELLA GEOMETRIA DEL TELAIO
1) Altezza della sella: la sella troppo alta determina, ogni volta che la gamba arriva alla massima distensione, una oscillazione eccessiva del bacino sollecita negativamente la muscolatura lombare, radici nervose ed articolazioni vertebrali e sacro-iliache.
2) Distanza sella-manubrio: una distanza ridotta comporta una minore distribuzione del peso sulle braccia ed una maggiore incidenza sulla parte bassa della schiena, costretta così ad assorbire maggiormente le sollecitazioni provenienti dal mezzo. Una posizione troppo allungata, viceversa, sottopone a sovraccarico, per gli stessi motivi, la colonna cervicale.
3) Dislivello tra sella e manubrio: un eccessivo dislivello tra sella e manubrio determina un aumento della inversione della curva lombare ed un aumento della lordosi cervicale con il risultato di sollecitare eccessivamente questi compartimenti. A tal proposito, la capacità di mantenere una buona inclinazione del busto dipende sostanzialmente dalla flessibilità articolare della colonna in toto, ma principalmente del tratto lombare. Ciò significa che non esistono regole, se non assolutamente generiche, per stabilire a priori la misura del dislivello tra sella e manubrio. Succede, infatti, molto frequentemente, che il ciclista regoli il telaio in base a tabelle basate sulle caratteristiche antropometriche e non riesca a pedalare se non per brevissimi tratti impugnando la parte bassa del manubrio. È evidente, in questo caso, che le caratteristiche di elasticità muscolare e flessibilità articolare del soggetto non consentono un buon adattamento alla postura richiesta dalla geometria del telaio. Un dislivello troppo limitato, viceversa, costringe ad una posizione troppo eretta che può risultare dannosa perché determina una maggiore compressione a livello lombo-sacrale, specialmente percorrendo tratti di strada sconnessa.
4) Arretramento sella: la posizione antero-posteriore della sella influisce sulla posizione del bacino e della colonna rispetto ai pedali. La sua giusta regolazione risulta essenziale per ottimizzare la distribuzione del carico sugli assi delle ruote e per armonizzare l’azione di tutte le catene cinetiche impegnate nell’esprimere potenza sui pedali con possibili ripercussioni sulle articolazioni del bacino, ginocchio, caviglia e muscolatura afferente.
5) Lunghezza delle pedivelle: una lunghezza eccessiva delle pedivelle, obbligando il piede a descrivere una maggiore traiettoria di movimento, amplifica l’escursione angolare di tutte le articolazioni, comprese quelle del ginocchio, bacino e colonna, con un meccanismo simile a quello determinato da una eccessiva altezza della sella.
6) Posizione delle tacchette: un posizionamento eccessivamente arretrato delle tacchette determina una riduzione della mobilità della caviglia con il risultato di un “appesantimento” della pedalata e faticabilità dei muscoli estensori della coscia e dei muscoli paravertebrali. Un errore di montaggio nel piano trasversale, nel caso in cui la tacchetta non consente movimento radiale, può essere estremamente dannoso per ginocchio e anca.
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