Posturologia

BIOMECCANICA E CICLISMO

CICLO-SCALATA

La Biomeccanica è la scienza che studia il movimento con lo scopo di migliorare l’ergonometria del mezzo tecnico (nel caso del ciclismo, ovviamente, la bicicletta) e per consentire all’atleta di esprimere la massima potenza muscolare di cui dispone. Ma la biomeccanica può anche chiarire le cause e trovare i rimedi di tutte quelle problematiche di natura traumatologica che possono affliggere gli atleti durante la pratica sportiva.
Un numero sempre maggiore di persone praticano il ciclismo e cercano di “ottimizzare” la propria prestazione sportiva curando il mezzo tecnico (tipo di bicicletta, ruote, accessori, ecc.), ma anche cercando di rendere ottimale la posizione del corpo sulla bicicletta stessa, per migliorare l’efficienza e anche per evitare pericolosi sovraccarichi sulle strutture muscolo-scheletriche e articolari. Tale tentativo spesso viene effettuato in modo “teorico” e senza poter contare sull’aiuto di esperti del settore.
In questa sezione del portale si potranno trovare articoli sulla biomeccanica applicata al ciclismo, non solo diretti agli atleti di alto livello, ma anche, e soprattutto, al praticante “non agonista” che spesso sopporta carichi di allenamento molto elevati.

L’UOMO DELLA BIOMECCANICA

Roberto Corsetti (*)

Claudio Gallozzi, 51 anni, è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università La Sapienza di Roma e ha conseguito nello stesso ateneo la specializzazione in Medicina dello Sport nella prestigiosa scuola diretta dal professor Marchetti, uno tra i più apprezzati fisiologi dello sport italiani.
In gioventù ha praticato a livello agonistico diverse discipline sportive e nel 1984 è stato assunto presso l’Istituto di Scienza dello Sport di Roma dipendente dal CONI. Tuttora è ricercatore presso l’Istituto ed è docente nella Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport. Nel periodo 1984-1996 Claudio Gallozzi si è occupato prevalentemente di valutazione funzionale e ha fornito la sua consulenza a diverse federazioni sportive nazionali, tra le quali la Federazione Ciclistica Italiana (FCI).
Ecco una “chiaccherata”/intervista con Claudio Gallozzi che illustra cosa è la “Biomeccanica Professionale”

GALLOZZI E CORSETTI DURANTE UN TEST DI VALUTAZIONE

(Nella foto, in piedi, Claudio Gallozzi)

Chi ti ha stimolato ad occuparti di ciclismo a livello professionale?

La tradizione dell’Istituto di Scienza dello Sport del CONI nell’ambito del ciclismo di altissimo livello è sempre stata molto importante a partire dal professor Dal Monte, che ha effettuato moltissimi studi biomeccanici (le ruote lenticolari sono una sua creatura – n.d.r.) e dì valutazione funzionale su ciclisti professionisti, per finire al dottor Marcello Faina, da molti anni all’interno della Federazione Ciclistica Italiana di cui è attualmente Presidente della Commissione Sanitaria. Proprio perché era prevalentemente Faina a interessarsi di valutazione funzionale, io ho iniziato, sin dalla fine degli anni ottanta ad occuparmi di biomeccanica. Dalla metà degli anni Novanta quando ho cambiato definitivamente i miei interessi professionali, passando dalla valutazione funzionale dell’atleta all’approfondimento dell’ambito biomeccanico, il mio legame con il ciclismo si è rafforzato ancora di più.

In quel periodo, nell’ambito degli studi biomeccanici, a quale scuola o orientamento di pensiero eri più legato?

Ebbi la fortuna di incontrare l’ingegnere Renato Rodano del Politecnico di Milano, grande appassionato di sport che all’epoca lavorava presso il Centro di Bioingegneria della Fondazione Don Gnocchi, diretto dall’ingegner Pedotti. Con loro ho collaborato intensamente e insieme ‑ Istituto di Scienza dello Sport e Centro di Bioingegneria ‑ abbiamo effettuato diverse ricerche e pubblicato lavori. Nel ciclismo, e parlo di quello professionale di altissimo livello, abbiamo applicato i risultati dei nostri studi che derivavano dalla perfetta simbiosi di conoscenze di natura medica (le nostre) con quelle di natura più tipicamente ingegneristica (le loro).

I risultati più importanti?

Realizzammo un sistema che, sfruttando la tecnologia della BTS, di Garbagnate Milanese, era in grado di analizzare La cinematica della pedalata grazie all’aggiunta di software dedicati, da noi sviluppati, per ottimizzare l’interpretazione rapida degli aspetti più importanti per il ciclismo, ossia le traiettorie degli arti inferiori e gli angoli.
Ricordo che la cinematica è quella branca della fisica che studia il movimento senza tener conto delle cause che lo determinano, e quindi gli aspetti morfologici del movimento, le traiettorie dei segmenti scheletrici, gli angoli che si determinano tra i vari segmenti durante la pedalata e, in particolar modo, le differenze che esistono tra la componente destra e quella sinistra del corpo. Fu creata una strumentazione con diverse videocamere dotata di software dedicato che utilizzammo negli anni successivi per l’analisi biomeccanica di moltissimi atleti. Credo che in Italia quello sia stato uno dei migliori esempi di tecnologia Biomedica applicata allo sport e in particolare allo sport di altissimo livello. Io, personalmente, ho avuto l’opportunità di valutare con quella metodica numerosi corridori di alto livello, professionisti e dilettanti di interesse nazionale e probabili olimpici. Ora, da diversi anni sono consulente, ovviamente per gli aspetti biomeccanici, delle nazionali della pista sia maschili che femminili e, per un certo periodo, lo sono stato anche per la strada.

GALLOZZI E CORSETTI DURANTE UN TEST DI VALUTAZIONE

Cosa è, secondo te, esperto in questo settore, la biomeccanica applicata al ciclismo? E cosa dovrebbe essere?

Molti pensano che dietro la parola biomeccanica, quando si parla di ciclismo, vi sia soltanto la determinazione delle misure del telaio e lo studio della posizione in bicicletta. Non è così. La biomeccanica è la scienza che studia il movimento con due finalità. La prima è quella di migliorare l’ergonometria del mezzo tecnico (la bicicletta sia per quanto riguarda il comfort che esso deve garantire, perché stiamo parlando di uno sport che viene praticato, in ambito professionistico, per molte ore di seguito, sia per consentire all’atleta di esprimere realmente la massima potenza muscolare dì cui dispone. Tutto ciò, ovviamente, significa, in definitiva, migliorare il rendimento, ossia il rapporto tra costo energetico e le resistenze che devono essere vinte. La seconda finalità della biomeccanica è quella di chiarire le cause e trovare i rimedi per problematiche di natura traumatologica. È proprio quest’ultimo il settore al quale ho dedicato, con grande soddisfazione gli ultimi anni della mia attività.

Qual’è, nel dettaglio, l’ambito dell’analisi biomeccanica del gesto della pedalata che più ti coinvolge ed interessa?

Sicuramente la prevenzione e il trattamento di problematiche che riguardano l’apparato locomotore. Esse, nel ciclismo professionistico e di alto livello in genere, ma non solo, sono assai diffuse e riguardano soprattutto l’articolazione del ginocchio e del rachide lombare. Negli ultimi anni sto dedicando la mia attenzione professionale in particolar modo a quegli atleti che presentano sintomi o segni di patologie di carattere traumatologico provocate o acuite dalla pratica del ciclismo e quindi dipendenti in qualche modo dal gesto specifico di tale sport.
Ad esempio, un primo gruppo di atleti, molti dei quali di altissimo livello, si rivolgono a noi perché hanno la sensazione di pedalare in maniera non armonica, ossia con una prevalenza di spinta di un arto rispetto all’altro, e quindi ci chiedono di “normalizzare” il gesto della pedalata.

Perché venga presa in considerazione, è sufficiente che l’asimmetria nella spinta venga riferita dall’atleta, come sensazione soggettiva, o deve essere anche documentata da un test specifico di laboratorio?

Voglio ricordare, innanzitutto, che sono un ricercatore da campo anche perché praticante, e quindi mi fido molto delle sensazioni che mi vengono riferite dagli atleti, specie se di livello agonistico molto elevato. La sensazione dell’atleta per noi diventa legge, e se un atleta manifesta una sensazione vuol dire che qualcosa davvero avverte. A noi non rimane che interpretare il motivo per cui lui avverte questa sensazione. Ovviamente, se c’è anche la possibilità di documentare dal punto di vista puramente numerico un’asimmetria del gesto, tanto di guadagnato. Ma se l’atleta riferisce che si sente bene in bici, che non ha la minima sensazione di disagio e che avverte di pedalare in maniera armonica, anche qualora noi dovessimo documentare una asimmetria di spinta con un test mirato, l’ultima cosa che ci viene in mente di fare è quella di andarlo a toccare. In genere gli atleti vengono proprio perché hanno la sensazione di essere a disagio, di lavorare prevalentemente con una gamba rispetto all’altra e di avere problemi anche a livello dell’articolazione della spalla, che rappresenta il naturale compenso delle asimmetrie di spinta degli arti. In questi casi, a nostro modo di vedere, diventa lecito pensare di poter intervenire sulla posizione in bicicletta, modificandola se occorre.

GALLOZZI E CORSETTI DURANTE UN TEST DI VALUTAZIONE

Quali patologie presentano più frequentemente i soggetti che si rivolgono all’Istituto?

Sicuramente le patologie da sovraccarico, molto diffuse tra i ciclisti professionisti che “lavorano” tutti i giorni, per molte ore e ad alti regimi d’intensità di sforzo seduti sul mezzo specifico. Tra queste, un po’ a sorpresa, le più frequenti sono le lombalgie. Classicamente la patologia prevalente nel ciclismo riguarda il ginocchio con le cosiddette sindromi femoro-rotulee. Da qualche anno, però, stanno aumentando molto, soprattutto in ambito agonistico elevato (professionisti e top level in genere), le richieste di intervento per patologie del tratto lombare.

Quale potrebbe essere la spiegazione?

Credo possa dipendere dall’evoluzione nella costruzione dei telai, sia dal punto di vista dei materiali impiegati che delle geometrie. Il telaio, negli ultimi anni é diventato molto più rigido e, ovviamente, sollecita di più la componente lombosacrale che, soprattutto nel soggetto che presenta asimmetrie di spinta, lavora con delle rotazioni anomale. Si creano così un sovraccarico funzionale e un corteo sintomatologico che spesso sono i più difficili da risolvere.

LA POSIZIONE IN SELLA

Uno degli aspetti studiati dalla biomeccanica è quello importantissimo della posizione in sella

E le patologie del ginocchio?

Come dicevo, si tratta prevalentemente di patologie femoro‑rotulee che spesso si presentano anche in soggetti giovani in quanto in questi, più di tutti, manca quell’adattamento graduale che si ottiene con il passare degli anni mediante i progressivi aumenti di carico. Ritengo che oggi, nelle categorie giovanili, tale progressività stia venendo un po’ a mancare, perché già gli Juniores pedalano con carichi molto elevati. Comunque, le patologie del ginocchio si presentano in genere alla nostra osservazione meno frequentemente di dieci anni fa e io credo che questo dipenda dal fatto che l’atleta, nella maggior parte dei casi ha una buona posizione in bici e la geometria dei telai è ora abbastanza valida. Grazie agli studi delle aziende del settore, anche il confezionamento di tacchette specifiche sempre più performanti (in grado di consentire comunque un angolo minimo di rotazione radiale del tallone) ha permesso di abbattere in modo significativo i sovraccarichi sull’articolazione del ginocchio. Dieci‑quindici anni fa si adoperavano gli attacchi fissi che, spesso, qualche problema lo creavano.

Altre patologie che osservi nella tua pratica professionale?

Recentemente abbiamo visitato e testato un ex professionista che presentava una patologia una patologia miofasciale. Chiarisco subito cosa deve intendersi per patologia miofasciale. Per tradizione il ciclismo professionistico è uno sport che comporta grandi carichi di lavoro senza adeguati tempi di recupero e quindi può determinare una diminuzione lenta ma graduale del grado di estensibilità muscolare soprattutto a carico della catena flessoria dell’arto inferiore. Ciò può sconfinare nella rigidità e/o nella distonia di alcuni muscoli sino ad interessare, per contiguità, alcuni tronchi nervosi, con conseguente sintomatologia di tipo neurologico.
Tornando all’ex professionista, egli presentava una pseudo‑sciatalgia, con un rachide perfettamente normale, determinata esclusivamente da una compressione del nervo sciatico da parte del piramidale. Ripeto: il problema è generato dallo spaventoso aumento dei carichi di lavoro, con tempi di recupero scarsi o inesistenti e dallo scarso utilizzo di alcune tecniche che potrebbero facilitare il recupero, stesso.

Quali sono queste tecniche?

Il banale stretching che, anche se attualmente è una metodica un po’ criticata, nel soggetto sano, indenne da qualunque problematica patologica, è un’ottima forma di recupero se praticata dopo l’allenamento e le competizioni. Invece nel soggetto che già presenta una sindrome miofasciale, ossia di compromissione parziale dei muscoli, tale tecnica può rivelarsi poco utile e, anzi, addirittura dannosa. Poi, il massaggiatore e/o il fisioterapista rappresenta una figura ormai insostituibile nello sport di alto livello. L’azione manuale del terapista, in particolar modo se bravo e competente, é uno degli elementi più importanti per facilitare il recupero.

Nella mia esperienza di medico di una squadra di ciclismo professionistico mi sembra di poter affermare che un ciclista sente la necessità dì consultare un biomeccanico prevalentemente quando sì convince dì avere una asimmetria scheletrica degli arti inferiori o quando ha la sensazione di spingere di più con una gamba rispetto all’altra con conseguente rotazione di compenso dell’appoggio del bacino. Quanti casi reali di asimmetria degli arti inferiori hai potuto individuare e quanti di essi erano tanto rilevanti da richiedere una correzione con supporto spessorato?

La domanda è abbastanza articolata e credo che sia prima necessario tornare su chi sia veramente il biomeccanico e su quali debbano essere le se specifiche competenze. Credo che biomeccanico possa essere soltanto un professionista che abbia un bagaglio di esperienze e di competenze specifiche in tale settore. Per quanto concerne le competenze, esse purtroppo sono abbastanza confuse. La facoltà di ingegneria ha una branca specialistica nel settore biomedico che fornisce una serie di nozioni e di strumenti per entrare nel mondo dell’analisi del movimento sportivo, ma un ingegnere biomedico non ha competenze di tipo biologico e io credo che in questa disciplina la conoscenza approfondita del corpo umano sia imprescindibile. Volendo identificare e descrivere la figura del biomeccanico, direi che si tratta di un professionista in grado di analizzare il movimento sportivo con un’ottima competenza specifica di quel determinato sport. Volendo, non c’è bisogno di una laurea ma è necessaria una professionalità che molto difficilmente si acquisisce senza degli studi specifici.

POSIZIONE CORRETTA IN BICICLETTA

Braccia correttamente flesse e senza contrazioni superflue: tutta l’energia va alle gambe

Bene, torniamo al discorso delle asimmetrie degli arti …

Esistono delle asimmetrie morfo-strutturali frequentissime, perché il corpo umano non è perfettamente simmetrico e presenta normalmente delle variazioni dimensionali in alcuni segmenti. Ciò non ha nessuna ricaduta dal punto di vista prestativo e sportivo.
Esistono, poi, delle asimmetrie funzionali che possono essere anche correlate ad asimmetrie strutturali, ma spesso sono presenti in soggetti perfettamente simmetrici. Quindi, parlando di postura, un soggetto che presenta un’asimmetria dell’occlusione dentale, che comporta comporta comunque una alterazione di un recettore della postura, può mostrare di riflesso anche un’asimmetria funzionale pur avendo le leve scheletriche perfettamente identiche. Pertanto non si può mai prescindere da una valutazione clinica generale del soggetto se si vuole poi comprendere completamente il comportamento sul mezzo specifico usato in competizione. Sono due fasi che necessariamente devono essere ben integrate e la prima, in particolare, sembra essere sembra ombra di dubbio di stretta competenza medica.

Quando si presentano alla tua osservazione dei corridori che hanno delle problematiche articotari o comunque di tipo traumatologico, su cosa si basa la tua valutazione clinica?

La valutazione riguarda dapprima l’aspetto traumatologico e quindi una valutazione ortopedica per individuare esattamente il danno. Successivamente facciamo una valutazione clinica di routine che esamina l’aspetto posturale, con l’analisi dell’equilibrio corporeo e della funzionalità dei vari recettori della postura che sono gli occhi, l’apparato vestibolare, la bocca e i piedi. Si tratta quindi di una valutazione ad ampio spettro del soggetto. Laddove venisse riscontrata una problematica recettoriale, ci avvaliamo di specialisti (oculista, otorinolaringoiatra, ortopedico) che ci forniscono delle consulenze. Infine, si passa alla valutazione sul mezzo specifico e quindi ai test che prevedono l’utilizzo della bicicletta che il soggetto usa per gli allenamenti e le competizioni.

Le principali caratteristiche della valutazione sulla bici?

Si osservano gli angoli articolari e i rapporti spaziali tra i vari punti, quindi il bacino, il ginocchio e il piede e, soprattutto, ci si sofferma molto sull’analisi delle possibili asimmetrie di movimento. Il problema della bicicletta sta nel fatto che ha i punti di vincolo, ossia mani e piedi, simmetrici, e quindi se c’è una disfunzione essa si riflette sul bacino, che subisce una rotazione di compenso.

E per quanto concerne il trattamento delle disfunzioni eventualmente riscontrate?

Di solito si agisce sul piede perché esso rappresenta uno dei più efficaci sistemi di compensazione. Nella maggior parte dei casi, per risolvere problemi di asimmetrie, lavoriamo quindi sul piede. Qualche volta, invece, sull’apparato masticatorio.

Cosa fate sul piede?

Innanzi tutto voglio ribadire che un soggetto in buono stato, che non lamenta una sintomatologia attiva, anche in caso di asimmetria funzionale manifesta, ha trovato un suo equilibrio e non va trattato.

Quindi una qualunque disfunzione o asimmetria che si evidenzia, ma che non dà segni né sintomi, non deve essere trattata …

Assolutamente no. Se il soggetto sente di essere in armonia con il mezzo e non ha manifestazioni cliniche, non va toccato. Il trattamento è riservato a quei casi in cui l’atleta riferisce disagi e/o sintomi e noi rileviamo la causa.

Torniamo al trattamento …

Abbiamo due vie di accesso che, oltretutto, sono in relazione tra di loro. Il corridore risente in particolar modo della funzionalità dell’apparato masticatorio e dell’appoggio dei piede. In funzione della valutazione effettuata precedentemente, si sceglie l’approccio migliore a seconda dei singoli casi. Nel caso dell’apparato masticatorio, le patologie riguardano prevalentemente le asimmetrie di funzionalità del sistema cranio‑mandibolare che, a loro volta, possono dipendere da un attore scheletrico o legato all’occlusione dentale. Le possibilità d’intervento sono abbastanza complesse e, generalmente, si utilizza il cosiddetto BITE.

UNO DEGLI STRUMENTI USATI PER I TEST

Uno degli strumenti usati per i test

Cosa è il BITE?

Il bite si può assimilare a un plantare per i piedi. È un qualcosa che non corregge il problema ma lo compensa un po’, come, ad esempio, gli occhiali da vista per il miope. L’occhio rimane miope, ma il soggetto ci vede. Abbiamo una grandissima esperienza sul bite anche perché li realizziamo all’interno dell’Istituto e li abbiamo usati in larga scala proprio dal punto di vista conoscitivo e scientifico. Però usiamo il bite con una metodica particolare, ossia ne consigliamo l’utilizzo soltanto ed esclusivamente durante l’attività specifica. Non andiamo attraverso il bite a rieducare l’equilibrio generale come si tenta di fare in altre situazioni. Noi andiamo semplicemente a togliere l’elemento di disturbo e solamente durante l’attività specifica. Un ricondizionamento globale richiederebbe un’assistenza medica molto più pressante e potrebbe comportare dei rischi in quanto il soggetto tende a diventare bite‑dipendente. Utilizzando il bite per brevi periodi è come se, solo in quel momento, noi “resettassimo” il sistema. Rimane il fastidio di utilizzarlo per l’allenamento e n gara, soprattutto per l’alimentazione, ma ora li facciamo in modo che il problema sia ridotto al minimo e che l’atleta possa alimentarsi anche senza toglierlo.

E per il piede?

Per quanto concerne il piede, operiamo quasi esclusivamente con la compensazione dell’appoggio a livello delle teste metatarsali e generalmente non usiamo spessori, rialzi, ecc. Attraverso gli studi effettuati e pubblicati in letteratura, rilevando le pressioni all’interno dello scarpino tecnico in soggetti con disarmonie di movimento, ci siamo resi conto che quello era il cuore del problema e su quello lavoriamo con degli “spessoramenti” che non vanno mai oltre i 2-3 mm, quindi assolutamente fisiologici. La cosa sorprendente è che queste piccolissime modifiche determinano dei grossi cambiamenti nell’analisi globale del movimento. Si riesce tranquillamente a giocare, come nel caso della convergenza ed equilibratura di una macchina, sulla traiettoria del ginocchio e sulla posizione del bacino. Non è solo un fatto meccanico, ma coinvolge anche la sfera neuro-sensoriale e il sistema propriocettivo.

Questi minuscoli spessori sono transitori o definitivi?

Sono spessori di sughero e noi generalmente li utilizziamo in maniera transitoria sino alla risoluzione dell’asimmetria funzionale, anche se poi qualche atleta li conserva in maniera definitiva. Più comunemente se il sistema funziona e risolve la sintomatologia, viene approntato un plantare che ripropone definitivamente quelle piccole correzioni.

Studiate anche l’appoggio plantare?

Sì, con dei rilievi delle pressioni all’interno dello scarpino o dei rilievi dinamici, ossia delle forze applicate al pedale. Facciamo anche, nell’ambito della valutazione generale iniziale, una valutazione baropodometrica dell’appoggio plantare da fermo. Ma il piede che utilizziamo per camminare non è lo stesso che utilizziamo per pedalare, nel senso che la fisiologia del cammino è ben distinta, soprattutto a livello di impegno biomeccanico, da quella della pedalata. L’errore classico che vediamo è quello di soggetti che giungono alla nostra osservazione con dei plantari studiati e predisposti per la deambulazione e che non hanno nessuna valenza specifica per il ciclismo. Il piede, nel ciclismo lavora soltanto in flessione plantare e quindi dai 90 ai 120 gradi, mentre durante la deambulazione, gli angoli sono completamente diversi. L’appoggio del ciclista è soltanto sull’avampiede, mentre durante la deambulazione l’appoggio è totale. Lo studio dell’appoggio plantare deve quindi essere dedicato e specifico, deve prevedere l’uso della scarpa tecnica da ciclismo e deve consistere in una valutazione effettuata durante il gesto specifico della pedalata.

GIOVANNI LOMBARDI: OTTIMO STILE IN SELLA

Come valutate l’efficacia e il successo del trattamento attuato?

Innanzitutto cambiano le traiettorie in modo abbastanza marcato sia dal punto di vista del rilievo visivo che da quello strumentale. Le traiettorie tendono a normalizzarsi avvicinandosi al piano di simmetria. E anche le forze applicate si pedali tendono a riequilibrarsi. Tuttavia, l’aspetto sul quale noi puntiamo di più resta sempre la sensazione dell’atleta che avverte di pedalare più armonicamente e sente l’arto che prima spingeva di meno cominciare ad affaticarsi perché inizia a spingere di più. Bisogna seguire con particolare attenzione la ripresa degli allenamenti in quanto l’arto che prima era meno impegnato viene sollecitato in maniera davvero importante.

Come vi orientate se ci sono soggetti che presentano sia problematiche occlusali che di appoggio del piede?

Di solito si ottengono degli ottimi risultati “approcciando” uno solo dei due recettori e, sulla base della nostra esperienza, della casistica e delle elaborazioni statistiche, decidiamo su quale parte intervenire. Purtroppo non c’è una regola precisa, anche perché il corpo umano è in compensazione continua: ad esempio, quando il problema sta nell’occlusione, tutto il resto si adatta e compensa il difetto, ma le compensazioni sono anch’esse delle piccole anomalie. Se rileviamo solo queste ultime e non la vera causa c’è il rischio di andare a trattare il compenso e non la causa.

Cosa prevedi nell’ambito degli studi biomeccanici nel prossimo futuro?

Abbiamo parlato sinora di ipotesi, teorie ed esperienze pratiche ed empiriche. Quello che manca ancora a livello di letteratura internazionale è una documentazione completa di tali aspetti. Dal punto di vista della cinematica riusciamo a misurare i parametri che ci interessano con molta accuratezza. Per quanto riguarda la dinamica, invece, quello che manca è sostanzialmente un sensore posizionato sul pedale: quindi un pedale dinamometrico. Generalmente con i moderni rilevatori di potenza tipo SRM, si rilevano dati di espressione di potenza sul movimento centrale, quindi già relativi alla somma dell’azione dei due pedali. A noi interessa la scomposizione delle forze sul singolo pedale. È un qualcosa che stiamo realizzando con il Dipartimento di Ingegneria Elettronica della Terza Università di Roma, lavorando con una coppia di estensimetri montati su di un pedale dedicato. Sinora l’analisi biomeccanica si è basata sulla cinematica, sul rilievo delle forze applicate al movimento centrale che non è sufficiente, sulle pressioni plantari che comunque non forniscono una scomposizione delle forze. Quello che manca è un sistema integrato facile da utilizzare e da interpretare, che individui il momento in cui il soggetto ha una spinta realmente simmetrica. Questo sistema dovrebbe poter analizzare l’atleta anche in condizioni di affaticamento dal momento che la fatica modifica la cinetica muscolare.

Un sistema dei genere avrà dei costi tanto elevati …

Sicuramente questi sono sistemi dal costo molto elevato sia per quanto riguarda l’hardware che il software che lo gestisce, e sicuramente non sarebbero proponibili a livello di massa. Allora stiamo lavorando anche su altri aspetti, quali, ad esempio, andare a verificare dei parametri significativi anche con l’utilizzo del mezzo tecnico dell’atleta. Uno di questi riguarda l’accelerazione che viene data al sistema rispetto al singolo colpo di pedale, che ci può dire semplicemente come viene accelerato il sistema con la pedalata scomponendo la spinta di destra e quella di sinistra. Così potremmo rilevare le asimmetrie di accelerazione indotte dall’arto destro paragonandole con quelle del sinistro. Ultimamente abbiamo predisposto uno strumento semplicissimo, di basso costo, che con un’analisi altrettanto semplice ci consente di rilevare tale parametro.

Sei conosciuto per il tuo impegno nel settore degli studi biomeccanici, ma sei anche un medico dello sport e docente presso la Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport. Cosa pensi del sequestro a una squadra belga, operato dai Nas durante l’ultimo Giro d’Italia di strumenti in grado di riprodurre situazioni di ipossia quali l’ALTITRAINER? Attualmente la legge dello stato italiano ha vietato l’utilizzo di strumenti che riproducono situazioni ipobariche e/o ipossiche. Al contrario, tali strumenti sono consentiti dalla Wada-Ama e utilizzate da diversi comitati olimpici (Australia, Svizzera, Francia, Germania, ecc.) per la preparazione degli atleti …

C’è molta confusione dal punto di vista etico nello sport, ma è una tematica molto importante. Io posso solo dire che ci si deve augurare che ci sia un unico regolamento valido in tutti gli stati. In generale, comunque, credo che il ciclismo meriti di essere sul palcoscenico per la sua incredibile spettacolarità e per l’impegno fisico ai confini della fisiologia che richiede a quanti lo praticano, e non per questo tipo di notizie.

(*) Roberto Corsetti (l’autore dell’intervista) è specialista in Cardiologia e Medicina dello Sport, direttore del Centro di Medicina e Traumatologia dello Sport “Maurizio Barendson” – Icot – Latina e medico sociale del Pro Cycling Team Liquigas Bianchi.

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