CARDIOFITNESS E MIGLIORAMENTO DELL’EFFICIENZA FISICA

Testo e disegni di Stelvio Beraldo
Generalità cardiofitness
Obiettivo del cardiofitness è essenzialmente quello di innalzare i parametri di efficienza cardiocircolatoria e respiratoria, ovvero la resistenza organica (capacità dell’organismo di durare molto a lungo in un lavoro continuo. Il meccanismo energetico prevalentemente utilizzato è quello aerobico). Ovviamente i benefici si estendono anche all’apparato locomotore.
Un’attività fisica di cardiofitness ben programmata in funzione dell’età e della condizione fisica, può migliorare in maniera anche vistosa l’efficienza fisica generale e contenere “l’aggressione” del tempo sull’organismo. Anche dal punto di vista psicologico si possono ottenere degli ottimi risultati (Tabella).
Benefici indotti dall’attività di cardiofitness protratta nel tempo
APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO E RESPIRATORIO
– Rafforzamento del muscolo cardiaco.
– Facilitazione del ritorno venoso al cuore.
– Aumento della riserva cardiaca e coronarica e della gettata cardiaca (volume di sangue in un minuto).
– Migliore irrorazione sanguigna periferica (capillarizzazione).
– Maggiore elasticità dei vasi sanguigni.
– Riduzione più rapida della frequenza cardiaca e respiratoria dopo sforzo (recupero più rapido).
– Valori pressori tendenti alla norma.
– Aumento della ventilazione polmonare.
– Aumento della dinamica costo-diaframmatica (meccanica del respiro) e dell’elasticità dei polmoni.
– Miglioramento degli scambi gassosi a livello alveolare.
– Aumento della resistenza aerobica.
SISTEMA ENDOCRINO-METABOLICO
– Migliore termoregolazione corporea e metabolismo energetico.
– Tendenza alla normalizzazione degli indici ematochimici.
– Riduzione della massa grassa.
– Corretta regolazione del controllo diencefalico dell’appetito.
– Corretto assetto glico-lipidico.
APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO E NEURO-MOTORIO
– Maggiore trofismo e forza muscolare dei muscoli impegnati.
– Maggiore elasticità e potenza dei legamenti articolari.
– Migliore postura e capacità di assumere atteggiamenti più corretti, per cui possono attenuarsi o scomparire dolori derivanti da posture errate.
– Rallentamento dell’invecchiamento delle ossa e delle cartilagini (metabolismo più attivo). Questo consente anche il contenimento nella perdita di sostanza ossea e di sali di calcio dello scheletro (osteoporosi).
– Aumento della destrezza motoria e dell’efficienza del sistema nervoso in genere.
COMPORTAMENTO E PERSONALITÀ
– Buon controllo emotivo.
– Aumento dell’autostima.
– Maggiore disponibilità alla socializzazione.
Per ottenere i benefici del cardiofitness si possono utilizzare DIVERSI MEZZI come correre su terreno o su tapis roulant, nuotare, pedalare sulla bici in strada o sulla cyclette, sciare, remare in acqua o su vogatore, salire e scendere le scale o da uno step, ecc.
I mezzi utilizzati sono solo gli “strumenti” utili a raggiungere un unico obiettivo che è quello di elevare i parametri di risposta organica (tra questi l’innalzamento della frequenza cardiaca e respiratoria).
L’unico aspetto che li differenzia è il miglioramento della RESISTENZA LOCALE che è la capacità di un ristretto settore muscolare di eseguire un lavoro per un tempo lungo (miglioramento della capacità di utilizzo dei substrati energetici locali). In sostanza si specializzano alla resistenza quei muscoli che vengono impegnati in maniera prioritaria.
Se la cyclette agisce maggiormente sui muscoli delle cosce, il vogatore impegna anche quelli delle braccia e del dorso. Lo step, la corsa e lo sci impegnano soprattutto i muscoli delle cosce, gambe e piedi. Il nuoto, grazie alle varie specialità, può coinvolgere praticamente tutti i maggiori muscoli del corpo.
Alcuni aspetti del lavoro aerobico
La metodologia (in questo caso il parametro di riferimento è l’intensità di lavoro, ovvero il dosaggio dell’impegno organico e muscolare riferito alle proprie massime possibilità espressive) deve essere basata essenzialmente sull’utilizzo energetico del SISTEMA AEROBICO dove le tensioni muscolari sviluppate sono molto basse (sotto il 30% circa del massimale). Durante il lavoro muscolare il consumo e il reintegro energetico rimane in equilibrio, permettendo una durata che oltrepassa i 3 minuti per arrivare anche ad alcune ore.
I substrati energetici sono forniti inizialmente dall’ossidazione dei glicidi poi, dopo 30-40 minuti circa, anche dai grassi. Questi ultimi assumeranno sempre più un ruolo prioritario man mano che si allungano i tempi di lavoro. Il prodotto finale di questa reazione energetica è l’acqua, l’anidride carbonica e l’energia che risintetizza l’ATP (fonte energetica del muscolo). L’acqua e l’anidride carbonica vengono eliminate con la respirazione, i reni (urina) e la sudorazione.
Per rimanere all’interno del meccanismo aerobico è necessario non superare la cosiddetta SOGLIA ANAEROBICA (intensità di lavoro limite dove si mantiene ancora un equilibrio tra acido lattico prodotto e acido lattico smaltito, ovvero non subentra ancora in maniera prevalente il meccanismo energetico anaerobico lattacido, meccanismo che limiterà progressivamente la possibilità di proseguire il lavoro).
Infatti, se si intensifica il ritmo, ovvero si utilizzano tensioni muscolari mediamente elevate, al meccanismo aerobico subentra il SISTEMA ANAEROBICO LATTACIDO, dove la stanchezza e l’incapacità a proseguire a ritmi elevati sopraggiunge dopo una decina di secondi per evidenziarsi sempre di più tra i 45-120 secondi circa (esempio tipico sono le distanze nella corsa piana che vanno dai 400 ai 1000 metri circa dove i ritmi di corsa tendono progressivamente e vistosamente ad abbassarsi).
Dopo lo sforzo la capacità contrattile iniziale viene ripristinata in circa tre ore, tempo di smaltimento dell’acido lattico (la metà ogni 15 minuti circa. Negli atleti specialisti può scendere anche sotto gli 8 minuti).
La reazione energetica del muscolo, che avviene in assenza di ossigeno (anaerobica) porta alla formazione finale di acido piruvico e acido lattico. Quest’ultimo limita fortemente la capacità di proseguire nel lavoro a elevata e media intensità di contrazione.
Quando invece le tensioni muscolari, ovvero l’intensità delle tensioni muscolari è massimale o submassimale, viene utilizzato il SISTEMA ANAEROBICO ALATTACIDO. In questo caso il lavoro muscolare intenso può essere protratto solo per circa 8-10 secondi e l’energia spesa viene ripristinata dopo circa 3 minuti di riposo. Questo sistema dipende dagli accumulatori di energia (creatinfosfato) e non necessita di ossigeno.
Meccanismi energetici nelle varie prove di corsa piana dell’atletica leggera (*) (secondo E. Arcelli)
(*) La tabella si riferisce ad atleti qualificati. Offre, comunque, una visione dell’intervento dei meccanismi energetici in relazione all’intensità e distanza (tempo) del lavoro muscolare.
Caratteristiche dei vari tipi di resistenza organica e muscolare
Tipo di resistenza
Resistenza di lunga durata I
Va da 10 ai 35 minuti circa. L’intensità del lavoro muscolare è media e supera la soglia anaerobica. Di conseguenza l’acido lattico prodotto condiziona l’intensità e la durata del lavoro. L’energia è fornita essenzialmente dal glicogeno muscolare mentre il consumo dei grassi è molto limitato.
Resistenza di lunga durata II (*)
Va da 35 a 90 minuti circa. L’intensità del lavoro muscolare è medio-bassa e prossima alla soglia anaerobica. Viene utilizzata una miscela di grassi e glicidi, con prevalenza di questi ultimi.
Resistenza di lunga durata III (*)
Va da 90 a 360 minuti circa. L’intensità del lavoro muscolare è bassa e distante dalla soglia anaerobica e le caratteristiche psicologiche e motivazionali assumono un ruolo importante nella prosecuzione dell’attività. L’utilizzo dei grassi è prevalente.
Resistenza di lunga durata IV
Supera i 360 minuti circa. L’intensità del lavoro muscolare è molto bassa e le caratteristiche psicologiche e motivazionali assumono un ruolo predominante. L’energia viene fornita quasi esclusivamente dai grassi.
Resistenza di media durata
Va da 2 a 10 minuti circa. L’intensità del lavoro muscolare è mediamente elevata. Coinvolge sia il meccanismo aerobico che anaerobico-lattacido.
Resistenza di breve durata
Va da 45 a 120 secondi circa. L’intensità del lavoro muscolare è elevata e richiede un adeguato supporto della resistenza alla forza e della resistenza alla velocità. Predomina il meccanismo anaerobico-lattacido.
(*) Zone utili al cardiofitness.
I principali metodi per migliorare l’efficienza aerobica
Quando si allena la resistenza aerobica vanno presi in considerazione due aspetti:
– La CAPACITÀ AEROBICA: possibilità di protrarre a lungo il lavoro grazie alla presenza ottimale delle sostanze energetiche (glicogeno muscolare ed epatico). È l’aspetto “quantitativo” della resistenza.
Il miglioramento della capacità aerobica si effettua con lavoro prolungato e, quindi, tale da comportare il giusto utilizzo della miscela energetica glicogeno-grassi.
Nel fitness è la metodologia più utilizzata, soprattutto da chi ricerca in questa attività un prevalente miglioramento dell’efficienza cardiocircolatoria e respiratoria.
– La POTENZA AEROBICA: fondamentale per innalzare l’intensità di lavoro pur rimanendo nel sistema aerobico, è strettamente legata alla quantità di composti energetici muscolari (Adenosintrifosfato o ATP) che il metabolismo aerobico del soggetto è in grado di sintetizzare nell’unità di tempo. Un ruolo importante è assunto anche dal massimo consumo di ossigeno, detto VO2 max, che è la più grande quantità di ossigeno che si riesce a consumare nell’unità di tempo riferendosi ad 1 Kg. di peso corporeo, ovvero aumento dell’ossigeno nel sangue e maniera ottimale in cui giunge ai muscoli e la massima intensità di lavoro realizzabile al di sotto della soglia anaerobica (massima intensità di lavoro che può essere effettuata senza ricorrere alla glicolisi anaerobica e, quindi, senza accumulo di acido lattico nei muscoli). Il VO2 max è predeterminato geneticamente ed è scarsamente allenabile (può aumentare non oltre il 10-20%).
È l’aspetto “qualitativo” della resistenza ed è tipica di chi pratica sport agonistico di durata. Atleti specialisti di gare di resistenza utilizzano il 70-85% del VO2 max.
Il miglioramento della potenza aerobica si effettua con lavoro in prove ripetute ove le tensioni muscolari e la durata (quindi velocità esecutiva) portano molto vicino alla soglia anaerobica (mai superiore per non accumulare lattato e conseguente riduzione della attività dei mitocondri cellulari, centrali “energetiche” dove avvengono le reazioni ossidative aerobiche).
Nel fitness questa metodologia è riservata a individui allenati e in buone condizioni di salute che ricercano anche un miglioramento specifico della prestazione.
I metodi (*) di lavoro più utilizzati per migliorare la resistenza organica
- CONTINUI (velocità costante)
Si svolgono senza interruzioni e a velocità costante:
– LAVORO LUNGO E LENTO: fino a circa 2 ore, con frequenza cardiaca intorno a 120-150 e VO2 max al 60-65% del massimo. Metodo ottimale per gli adattamenti idrotermici e muscolari, per il metabolismo aerobico e per l’attivazione circolatoria capillare.
– LAVORO MEDIO: fino a 60 minuti con intensità che si alza fino a portare la frequenza cardiaca intorno a 150-170 e VO2 max al 75% circa del massimo. Utile per elevare il consumo di ossigeno, la funzionalità enzimatica e mitocondriale.
– LAVORO BREVE E VELOCE: fino a 30 minuti circa, con frequenza cardiaca intorno a 170-180 e VO2 max all’80-85% del massimo. Metodo utile se, unito al lavoro medio, per rafforzare sia il meccanismo aerobico che quello anaerobico. I ritmi più intensi del movimento trasformano e ottimizzano le coordinazioni nei regimi più elevati. Inoltre, grazie alla maggiore intensità vengono a interrelarsi in maniera ottimale le esigenze metaboliche, tecniche e volitive.
- ALTERNATI (variazioni di ritmo)
Alla durata uniscono momenti di intensità tali da utilizzare il meccanismo anaerobico-lattacido per poi tornare a ritmi più bassi. Questo migliora la capacità di recupero del debito di ossigeno lattacido durante il lavoro stesso. Gli stimoli di alternanza producono anche adattamenti ed elevazione delle funzioni degli apparati cardiocircolatorio e respiratorio.
La Metodologia prevede un lavoro lungo a ritmo moderato (circa 130-140 di frequenza cardiaca) al quale si alternano momenti più brevi a ritmo più veloce (fino a 180 di frequenza cardiaca) e così di seguito. Tra questi metodi tipico è il Fartlek (riferito alla corsa a piedi) che si snoda in ambiente naturale vario, con pendii, ostacoli ed altre situazioni che favoriscono l’alternanza delle richieste energetiche.
- INTERVALLATI
Lavoro in serie di ripetizioni ad intensità molto elevata su distanze o tempi programmati. Il recupero tra le serie è incompleto e tale da riportare la frequenza cardiaca a 120 circa, per poi iniziare subito una nuova serie.
I Parametri da tenere sempre in considerazione sono:
– distanze e/o intensità del lavoro;
– numero delle ripetizioni e degli intervalli;
– durata dell’intervallo di recupero tra le ripetizioni;
– condizioni cardiache nelle fasi di recupero.
(*)
– Nel CARDIOFITNESS sono consigliati solo i Metodi Continui, più precisamente il Lavoro lungo e lento e, in fase più avanzata, il Lavoro Medio e Alternato. Questi ultimi solo se si desidera migliorare ulteriormente la propria efficienza organica generale anche in maniera specifica. I Metodi Intervallati, invece, hanno esclusivamente un obiettivo agonistico.
– La FREQUENZA CARDIACA riportata in tabella è riferita ad atleta giovane allenato.
I parametri per valutare la corretta applicazione dei metodi aerobici
Il parametro di riferimento più semplice da valutare per stabilire l’intensità di allenamento è la frequenza cardiaca (FC, ovvero numero di pulsazioni cardiache al minuto) che si deve mantenere per un certo periodo di tempo.
Per stabilire questa frequenza vengono utilizzati normalmente quattro metodi.
Il PRIMO METODO utilizza una percentuale della frequenza cardiaca riferita a quella massima del soggetto (MFC o HRmax). Si limita a mettere in relazione la massima frequenza cardiaca con l’età in quanto dopo i 30 anni circa i parametri di efficienza fisica in genere tendono ad abbassarsi di circa l’1% l’anno. Ovviamente non considera la condizione di allenamento del soggetto e la frequenza cardiaca a riposo che varia anche di molto da soggetto a soggetto.
Malgrado ciò, anche in considerazione che si tratta di fitness e non di massimo risultato sportivo, è il metodo più usato in quanto di semplice applicazione pratica e praticamente non rischioso per la l’integrità fisica dei non allenati.
Massima frequenza cardiaca
MFC = 220 – età in anni
Esempio:
– età 45 anni;
– massima frequenza cardiaca: 220 – 45 = 175;
– 60-70% di 175 = 105-123 (frequenza cardiaca consigliata).
Recentemente è stata proposta anche la formula di Hirofumi Tanaka
MFC = 208 – (0,7 x età in anni)
Tabella di calcolo rapido della massima frequenza cardiaca e rispettive percentuali
Il SECONDO METODO prende in considerazione la frequenza cardiaca di riserva (FCR o HRR), ovvero la differenza tra la massima frequenza cardiaca (MFC) e la frequenza cardiaca a riposo (FC): FCR = MFC – FC. La MFC viene stabilita con lo stesso procedimento esposto nel primo metodo (220 – età in anni).
Ai fini allenanti viene proposta una percentuale riferita alla frequenza cardiaca di riserva sommata alla frequenza cardiaca a riposo (% di FCR + FC).
Solitamente si utilizza la formula di Karvonen:
– FC di riserva x percentuale inferiore (della tabella) + FC a riposo = valore minimo. L’intensità di allenamento minima corrisponde al 60% (0,60)
– FC di riserva x percentuale superiore (della tabella) + FC a riposo = valore massimo. L’intensità di allenamento massima corrisponde all’80% (0,80).
Il TERZO METODO fa invece riferimento al massimo consumo di ossigeno (VO2 max), ovvero alla frequenza cardiaca che accompagna ogni percentuale riferita al VO2 max. Questo metodo richiede la conoscenza della massima potenza aerobica che si ricava con opportuni test come ad esempio il test di Cooper. Oltre a risultare abbastanza complessa la elaborazione dei dati va considerato che siamo nel campo del fitness e non dell’allenamento per atleti agonisti. Pertanto sottoporre persone non allenate, di diversa età e sesso, a test massimali può comportare anche dei rischi seri per la salute.
Come per la massima frequenza cardiaca anche il VO2max tende a diminuire di circa l’1% l’anno a partire dai 17-19 anni per le donne e dai 25 circa per gli uomini.
Il QUARTO METODO prende in esame la riserva di ossigeno (VO2 R), ovvero la differenza tra il VO2 max e il VO2 a riposo. Il consumo di ossigeno a riposo mediamente è considerato 3,5 ml/kg/minuto.
Ad ogni percentuale della massima frequenza cardiaca e del VO2 max corrisponde un tipo di stimolo specifico sulle capacità organiche e muscolari.
Relazione tra Massima Frequenza Cardiaca, VO2 max e intensità e durata del lavoro
(*)
– % MFC = Percentuale della Massima Frequenza Cardiaca. Va tenuto presente che la MFC è semplicemente una indicazione che può comunque variare a seconda dello stato di salute, di allenamento e di età del soggetto. Per i principianti e per le persone anziane non dovrebbero superare mai la percentuale della MFC consigliata.
– % VO2 max = Percentuale riferita al Massimo Consumo di Ossigeno.
Nel CARDIOFITNESS vengono utilizzate essenzialmente le due zone di lavoro del 60-70% e 70-80%. Potrebbe risultare interessante, a maggior chiarimento di quanto esposto, una ulteriore tabella:
Sintesi degli obiettivi raggiungibili con l’attività fisica
(Position Stand dell’American College of Sports Medicine – 2000)
(*)
HRMax = Massima Frequenza Cardiaca. L’intensità compresa tra l’85-90% della HRmax va riferita ad atleti allenati (n.d.r.).
HRR = Riserva di Frequenza Cardiaca = HR Max – FC a riposo.
VO2 max = Massimo Consumo di Ossigeno.
VO2 R = Riserva di Ossigeno (VO2 Reserve), ovvero VO2 max – VO2 a riposo.
Alcuni esempi di attività sportive e relative risposte fisiologiche
Rapporto tra VO2max relativo e lunghezza della distanza in alcune gare di corsa piana (da Svedenhag – Sjodin 1984)
Valori medi di alcune risposte fisiologiche in sport di squadra
(Bisciotti G.N.: Perché mai più di due? – Il nuovo calcio 113: 54-66, 2001)
Prima di iniziare gli allenamenti
- Effettuare una accurata visita di idoneità fisica.
- Munirsi di abbigliamento e attrezzature adeguate.
- Per l’attività svolta all’aperto (corsa, bici, sci, ecc.), scegliere un percorso pianeggiante o, comunque, poco impegnativo dal punto del vista della conformazione del terreno.
- Evitare, almeno nelle prime settimane di allenamento, test di verifica della condizione fisica che prevedono impegni submassimali e massimali. Comportano impegno organico a cui non si è abituati (solitamente sono i test che prevedono la copertura di una certa distanza in un tempo minimo o una intensità di lavoro massima) e potrebbero risultare ad alto rischio per la salute.
- Programmare almeno 2-3 allenamenti settimanali. Scendendo sotto i 2 allenamenti non è possibile ottenere dei benefici in quanto non si attiva il processo di sommazione degli stimoli (allenamenti e relativa supercompensazione) che portano nel tempo ad un più alto grado di efficienza.
- Fare in modo che tra l’inizio dell’attività e l’ultimo pasto siano trascorse almeno 2,5-3 ore. La digestione richiede un notevole afflusso sanguigno, afflusso che verrebbe sottratto dai muscoli agli organi digestivi.
- Dedicare qualche minuto al riscaldamento generale, eseguendo semplici esercizi non impegnativi (flessioni, estensioni, slanci, circonduzioni dei vari segmenti del corpo).
- Non iniziare se si ha la sensazione di sete. Va ricordato che quando si ha sete il patrimonio idrico è già al disotto di circa il 2% dei livelli normali. Già al 3% di disidratazione si innescano dei meccanismi fisiologici contrari all’efficienza fisica (limitazione della sudorazione, innalzamento della temperatura corporea, aumento della frequenza cardiaca, riduzione della gittata cardiaca, ecc.). Per quanto riguarda l’idratazione è sufficiente bere acqua normale, sia prima, durante e dopo l’allenamento. Le integrazioni saline dopo allenamento vanno prese in considerazione solo in presenza di vistose perdite idriche di almeno 2,5-3 litri di sudore.
Gli allenamenti
- Regolare l’intensità, almeno nella fase iniziale del programma di allenamento, intorno al 60% della propria massima frequenza cardiaca (all’occorrenza anche meno). Tenere presente che una frequenza cardiaca intorno al all’80% di quella massima comporta già un notevole impegno che si evidenzia con il “fiatone”. Per avere sempre a disposizione questi dati ci si può munire di un cardiofrequenzimetro, strumento di indubbia utilità che va tenuto costantemente sotto controllo (alcuni attrezzi di cardiofitness ne sono muniti). Non disponendo di un cardiofrequenzimetro si può rilevare la frequenza cardiaca poggiando leggermente i polpastrelli del dito medio e indice sull’arteria radiale, nella regione antero-laterale del polso, sulla linea del pollice (non va fatto il rilevamento col pollice in quanto, possedendo una pulsazione propria, può determinare errori di valutazione). Un altro punto di rilevamento è l’arteria carotide passante nel collo a lato della laringe. Nel rilevamento manuale va considerato che la frequenza cardiaca raggiunta rimane costante per i primi 10-15 secondi circa dalla sospensione dell’attività per poi abbassarsi progressivamente. Pertanto è bene effettuare il rilevamento subito, in un tempo non superiore ai 10-15 secondi. L’intensità di lavoro che non va comunque oltrepassata è quella che permette di dialogare con un partner senza affanno (“Regola del parlare” di Bandolier).
- Iniziare il programma secondo i principi di progressività (quantità) per poi andare nel tempo verso una maggiore gradualità (qualità) (Tabella).
Schema di allenamento per principianti (fase di adattamento biologico) (*)
Prima settimana: alternare, per un totale di 45-60 minuti, 5 minuti di attività blanda (es.: di passo più o meno veloce) con 30-60 secondi di attività ad intensità costante tra il 60-70% della frequenza cardiaca massima (es.: corsa leggera).
Nelle settimane che seguono: ogni settimana, in relazione alla condizione fisica che si ritiene di aver raggiunto, si possono aggiungere progressivamente 30-60 secondi all’impegno tra il 60-70% della frequenza cardiaca massima, fino a raggiungere i 5 minuti, mantenendo sempre l’alternanza con i 5 minuti di attività blanda.
Proseguendo nel tempo, ogni settimana si può diminuire di 30-60 secondi l’attività blanda e di altrettanti 30-60 secondi si può aumentare l’attività con impegno tra il 60-70% della frequenza cardiaca massima.
È necessario, comunque, mantenersi sempre nei limiti delle proprie capacità del momento.
Nel tempo si cercherà di arrivare a 45-60 minuti di attività continuativa a intensità costante.
Le indicazioni date non vanno applicate rigidamente. A volte una stessa metodologia può essere applicata anche per più settimane di seguito senza dover necessariamente ritoccare il tempo dedicato all’attività blanda o a quella più impegnativa.
Secondo il Prof. E. Arcelli, esperto di fama internazionale, nel rapido passaggio dal passo lento alla corsa e viceversa, ovvero da una intensità di quasi riposo ad una nettamente più elevata, l’apparato cardiocircolatorio viene sottoposto ad uno shock vero e proprio, shock che si ripete tante volte per quante volte si riprende o si interrompe la corsa. Va quindi evitato, in fase di attività blanda un eccessivo abbassamento della frequenza cardiaca rispetto a quella utilizzata durante le fasi di attività.
Sempre secondo il Prof. E. Arcelli, la prevenzione per le malattie all’apparato cardiocircolatorio è direttamente proporzionale alla spesa energetica legata all’attività fisica svolta.
(*) Lo schema è valido per tutti i mezzi che si utilizzano quali correre su terreno o su tapis roulant, nuotare, pedalare sulla bici in strada o sulla cyclette, sciare, remare in acqua o su vogatore, salire e scendere uno step, ecc.
Quando si sarà in grado di effettuare in maniera continuativa circa un’ora di attività con impegno tra il 60-70% della frequenza cardiaca massima, giunge il momento delle scelte, ovvero del perché e come continuare nel tempo col nostro impegno.
Normalmente le risposte sono due:
– PER LA SALUTE E LA QUALITÀ DELLA VITA. Pertanto non occorre ricercare una tabella o una metodologia sofisticate. Continuando sempre a correre con la stessa intensità (tra il 70-80% della massima frequenza cardiaca) l’obiettivo è praticamente raggiunto. È solo necessario mantenere il risultato acquisito. L’unico intervento utile è l’aumento del tempo da dedicare settimanalmente all’attività fisica, infatti a questa intensità si possono ottenere, oltre ai numerosi benefici elencati precedentemente (vedi Tabella “Effetti dell’allenamento aerobico sull’apparato cardiocircolatorio e respiratorio”).
– PER SCOPI AGONISTICI. La proposta di un serio ed efficace programma di allenamento può essere attuata solo se seguiti sistematicamente sul “campo” da un allenatore esperto. Questo perché si deve tener conto di moltissime variabili quali:
- età e condizione fisica generale di partenza
- obiettivo che si vuole raggiungere (competizione)
- disponibilità di tempo settimanale
- disponibilità di attrezzi (mezzi di allenamento) e attrezzature (spazi) idonei
- caratteristiche individuali legate all’espressione ottimale delle capacità motorie (surplus o carenza di forza, velocità, rapidità, resistenza, coordinazione generale, ecc.)
- capacità di eseguire correttamente la tecnica esecutiva della disciplina praticata
- capacità di applicare correttamente le varie metodologie di allenamento
- capacità di eseguire correttamente i vari esercizi di preparazione atletica
- ecc.
Quindi si elabora una programmazione annuale in relazione al numero di competizioni ritenute importanti (solitamente 2-3). Ogni competizione si articola su un macrociclo che solitamente ha una durata quadrimestrale o semestrale all’interno del quale sono strutturati un periodo preparatorio (suddiviso in tappa fondamentale e tappa speciale), periodo agonistico (o pre-gara o competitivo), periodo transitorio (o di transizione), periodi composti da mesocicli all’interno dei quali troviamo i microcicli per arrivare alle singole unità di allenamento.
Molti amatori agonisti ricercano spasmodicamente tabelle di allenamento ritenute particolarmente efficaci e trascurano il ruolo fondamentale della tecnica esecutiva. Nelle discipline cicliche (corsa, ciclismo, nuoto, ecc. dove il gesto è sempre uguale e viene ripetuto senza soluzione di continuità) basta un piccolo errore tecnico, errore poi ripetuto ad ogni ciclo, per ottenere un risultato deludente.
Stelvio Beraldo
Maestro di Sport
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