ESPERIENZE PRATICHE DI ALLENAMENTO NEL PATTINAGGIO DI VELOCITÀ IN ATLETI DI ALTO LIVELLO DI QUALIFICAZIONE

Il Pattinaggio di Velocità. Esperienze pratiche di allenamento nel pattinaggio di velocità
in atleti di alto livello di qualificazione.

A MIO PADRE
Questo elaborato, ontologicamente legato allo sport, va assolutamente inteso come successo non solo personale ma collegiale, motivo per il quale è dedicato nella sua interezza a mio padre. Oggi, con una gioia immensa, ho realizzato uno dei miei sogni più desiderati e non solo, concretizzato i sacrifici dovuti alla mia famiglia, sostenitrice in tutto. Ho deciso di dedicare in particolare questa opera ad un grande uomo, padre ed allenatore dei miei più grandi sforzi e successi, rivolgendo un grazie epico al suo coraggio e ai suoi insegnamenti. GRAZIE PAPÀ. Tua Giulia

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INDICE

PREMESSA
1. ANALISI DELLA DISCIPLINA
1.1 Il pattinaggio di velocità
1.2 Analisi della prestazione
2. MODELLI DI ALLENAMENTO NEL PATTINAGGIO DI VELOCITÀ
2.1 Allenamento Concorrente
2.2 Allenamento Polarizzato
3. ESPERIENZE PRATICHE DI ALLENAMENTO DI ATLETI DI ALTO LIVELLO
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA

ABSTRACT
Sono diversi i fattori, sia personali sia di carattere scientifico, che portano ad analizzare attentamente le caratteristiche del pattinaggio di velocità (sul ghiaccio e a rotelle). Sport al quale ho dedicato e dedico tuttora gran parte del mio tempo e che ha portato a pormi domande sulle sedute e sulla metodologia di allenamento e, come obiettivo fondamentale, al miglioramento delle prestazioni mie e del mio gruppo.
Attraverso questo testo cercherò di mostrare e dimostrare al mondo sportivo, come molte tabelle e dati (non pubblicati negli anni) siano stati di particolare importanza per raggiungere risultati agonistici di rilievo.
Attualmente nel mondo del fitness vanno molto di moda allenamenti come il polarizzato, l’HIT (High Intensity Training) e il Concurrent Training (esecuzione consecutiva tra strenght, endurance e resistence) che peraltro da sempre vengono praticati in queste due discipline sportive. L’allenamento polarizzato è la metodica in cui l’80% del tempo viene dedicato ad attività eseguite a bassa intensità. Il restante 20% viene svolto ad alta o altissima intensità. Questo permette tutta una serie di adattamenti fisiologici nella cellula muscolare, consentendo maggiori scambi di ossigeno. Nel pattinaggio di velocità questo metodo non è mai stato abbandonato nel corso degli anni ed ha costituito uno degli elementi fondamentali per il raggiungimento di grandi performance (anche se ha vissuto alterne fortune dovute in parte alle mode del momento). Questo metodo di allenamento, a differenza di quello ad alta intensità, permette all’atleta di concentrarsi e migliorare la tecnica e il gesto sportivo della pattinata. Ad esempio, riservando particolare attenzione nella “sitting position” o posizione del pattinatore, dalla quale deriva la scarsa ossigenazione dei muscoli della gamba, che si manifesta durante la prestazione sportiva.
La domanda sorge spontanea: Come si fa a migliorare la prestazione cronometrica, se l’allenamento viene svolto per un’ampia percentuale di tempo a bassa intensità?
La risposta risiede nella rimanente percentuale di allenamento. Circa il 20%, difatti, viene svolto ad alta e altissima intensità, attraverso importati lavori di forza e resistenza. Nonostante ciò, il monte ore di allenamento per atleta non è aumentato negli anni. Compito difficile dell’allenatore di pattinaggio di velocità è saper coniugare al meglio e nella giusta proporzione le diverse componenti dell’allenamento, tra quello polarizzato, integrato o di concorrenza. L’esperienza pratica, la conoscenza delle caratteristiche dell’atleta, l’osservazione, i test in pista, la tecnica, e il dialogo con l’atleta sono aspetti fondamentali per la riuscita del programma di allenamento.
Osservando il profilo dell’atleta, in particolare le sue qualità fisiche e la loro evoluzione nel tempo, si potrebbe ipotizzare che il metodo di allenamento che si propone come una combinazione tra polarizzazione e concorrenza possa permettere il miglioramento delle qualità atletiche e di conseguenza della performance nelle discipline sportive di endurance.

INTRODUZIONE
La qualità delle prestazioni di pattinaggio di velocità, in competizioni internazionali come i Giochi Olimpici e i campionali del mondo, nell’ultimo mezzo secolo continua a migliorare. Lo conferma il semplice fatto che record mondiali e performance agonistica progrediscono di anno in anno. Il 50% di questi miglioramenti sono dovuti agli sviluppi tecnologici ( ovali indoor, diametro ruote, poliuretani, pattini, tute aerodinamiche); l’altro 50% alla preparazione atletica (es. allenamenti in alta quota).
In particolare nella preparazione atletica, del pattinaggio di velocità nel ghiaccio (e recentemente anche nelle rotelle) si è registrato un maggiore miglioramento. Questo perché, nel tempo, sono aumentate strutture e luoghi sia indoor che outdoor, che hanno quindi consentito più ore e migliori condizioni di allenamento. Inoltre negli ultimi 20 anni sono emerse nuove squadre professionistiche e la carriera degli atleti (rispetto al periodo antecedente il 1987) oltre ad essere più lunga, è potenzialmente migliore. Ci si chiede, avendo aumentato e affinato le sedute di allenamento, dal generale allo specifico, cosa sia cambiato nel modello e nella pratica dello stesso allenamento.
Un elemento importante del modello è l’intensità dell’allenamento, riconosciuta come una delle componenti principali per lo sviluppo degli atleti. Grazie a diversi studi si è visto come gli atleti vengono differenziati tramite due tipologie di allenamento per intensità:

1. Allenamento per soglia
2. Allenamento polarizzato

Nell’ultimo decennio il modello di allenamento polarizzato è diventato sempre più comune per gli atleti di resistenza, non solo nel pattinaggio di velocità. Tuttavia, anche l’allenamento per soglia è ancora un modello ben accetto.
Gli atleti di resistenza del pattinaggio di velocità su ghiaccio sembrano allenarsi, sorprendentemente, poco nell’intervallo di intensità tra la soglia del lattato e l’intensità dello stato stazionario del lattato massimo (steady state); nonostante il fatto che, durante la competizione, la distribuzione dell’intensità sia prevalentemente ad intensità più elevate. Questo si potrebbe giustificare con il maggior utilizzo di glicogeno muscolare come substrato energetico durante questo tipo di allenamento, fattore che ne limita il tempo di allenamento, poiché dipende dai depositi di glicogeno muscolare.
Il pattinaggio di velocità è uno sport peculiare. La competizione è prevalentemente ad alta potenza ma nel contempo richiede anche una significativa resistenza. La risposta fisiologica è spesso al di sopra dello steady state ed è per questo motivo allenatori ed atleti sono particolarmente attenti a non intaccare quella riserva di glicogeno muscolare, per renderla disponibile durante la competizione.

1. ANALISI DELLA DISCIPLINA
La definizione del pattinaggio di velocità dipende dal tipo di pattino che viene utilizzato, utilizzo che è in funzione della superficie in cui si pratica. Esistono fondamentalmente due diversi tipi di pattino, dalle sue caratteristiche meccaniche ne deriva l’uso e la conseguente specialità sportiva. Aspetto primario è che il pattino deve avere quelle caratteristiche che permettono al pattinatore di raggiungere alte velocità in rettilineo e la massima maneggevolezza nelle curve. La tipologia del pattino si identifica a seconda della superficie sulla quale deve scorrere. Caratteristica principale è che deve essere liscia e levigata, può essere sia di ghiaccio che di cemento o di asfalto. Ne consegue che avremmo:

– Il pattinaggio di velocità su ghiaccio
– Il pattinaggio di velocità a rotelle

Fino ad una decina di anni fa queste due discipline sportive avevano due distinte storie. Rari erano i casi in cui si sfruttava il transfert di abilità; infatti, erano pochi i pattinatori sul ghiaccio che desideravano pattinare, in estate, sulle rotelle per mantenere il gesto tecnico atletico allenato. Ancora più raro era vedere il contrario. Troppa era la differenza tecnica, meccanica, fisiologica e di tipologia della prestazione di gara. Lo sviluppo di nuovi impianti sportivi di ghiaccio al coperto, l’introduzione del pattino con i Claps (i Clap Skates – detti anche clapskates, slap skates o slapskates, dall’olandese klapschaats – sono un tipo di pattini da ghiaccio usati nel pattinaggio di velocità che permettono alla lama di restare più a lungo a contatto con il ghiaccio e quindi uno slancio più lungo) nel pattinaggio su ghiaccio, l’avvento del pattino in linea nel pattinaggio a rotelle, nuove tipologie di gara in ambedue le discipline, la differenza temporale di stagione agonistica, ma soprattutto medaglie olimpiche vinte da ex pattinatori di velocità a rotelle, hanno permesso un maggior transfert di abilità tra le due discipline sportive.
Transfert che è più fattibile dalle rotelle al ghiaccio che viceversa. Il motivo principale risiede nelle motivazioni personali e di politica sportiva per gli atleti del pattinaggio su ghiaccio, sport professionistico e olimpico. Il pattinaggio a rotelle non è sport olimpico, per cui si tenta il salto di specialità. Cosa peraltro non semplice ne garantita.

1.1. IL PATTINAGGIO DI VELOCITÀ
Nel pattinaggio di velocità su ghiaccio gli atleti devono percorrere una determinata distanza nel minor tempo possibile. Il pattinaggio di velocità ha le sue origini nei Paesi Bassi e figura nel programma dei Giochi olimpici invernali. Lo sport è stato rivoluzionato negli anni 1990, con l’introduzione del clap skate, che può ridurre i tempi sul giro di secondi. L’International Skating Union organizza il campionato del
mondo di pattinaggio di velocità dal 1893.
Il pattino da velocità su ghiaccio è composto da una scarpa in cuoio resistente, o in fibra di vetro o di carbonio a 2 o più strati, ricoperta di pelle. Ad essa si fissa nella parte inferiore un telaio composto da una lama e da un meccanismo a molla. Questo telaio si fissa in punti ben definiti sotto la scarpa, il meccanismo del pattino a molla si chiama “clap skate”, (dall’olandese klapschaats) e, contrariamente ai pattini tradizionali dove la lama è fissata allo scarponcino, hanno la lama attaccata solo tramite un cardine posto sulla parte anteriore della suola. Questa tecnologia Clap Skate oggi viene utilizzata da tutti i pattinatori di alto livello.
In questo modo si sfrutta al meglio l’azione di spinta. Nella fase finale il meccanismo a molla si apre permettendo una fase più lunga della spinta, sfruttando il transfert da una gamba all’altra del peso del corpo (Figura 1). Da considerare che la rigidità della scarpa non permette un lavoro completo della caviglia, impedendone la completa flesso estensione del piede. In passato, quando non esisteva il “clap skate”, la tecnica della pattinata era differente, non essendoci l’apertura della lama sulla scarpa si doveva compensare l’azione di spinta con un maggior contributo tecnico e muscolare.

Figura 1 – Si possono notare le differenze in fase di spinta dei due pattini: il sinistro in appoggio sta chiuso e il destro in fase di spinta sta aperto. Il Clap Skate

Le competizioni ufficiali si disputano sulle distanze di 500, 1000, 1500, 5000 e 10.000 mt per gli uomini; per le donne le distanze sono sostanzialmente le stesse con l’eccezione dei 5000 mt che diventano 3000 mt mentre la distanza dei 10000 m viene ridotta a 5000 mt. È previsto anche l’Inseguimento a squadre, sia maschile sia femminile. In questo tipo di gara ciascuna squadra è composta da tre atleti che si sfidano in gare eliminatorie per giungere poi alla finale. Altre due modalità di gara sono l’All-Around e lo Sprint. Il primo raggruppa quattro prove in due giorni: 500, 1500, 5000 e 10000 mt in campo maschile e 500, 1500, 3000 e 5000 mt in campo femminile. In ogni prova tutti i tempi vengono ricalcolati sui 500 mt così ad es. sui 1500 mt il tempo viene diviso per tre, nei 3000 per sei e così via. Vince l’atleta che realizza il tempo totale più basso.
Lo sprint contempla le due prove più veloci: 500 e 1000 mt. Nelle Olimpiadi appena trascorse (2018) ha fatto il suo debutto anche la specialità della mass start: la gara si sviluppa su 16 tornate (6400 mt) con partenza di gruppo, tre sprint intermedi (nel quarto, ottavo e dodicesimo giro) e volata finale. La classifica viene stilata sui primi 5 nell’ordine di arrivo allo sprint finale, dal 6 in poi in base ai punti conquistati negli sprint intermedi.
Il pattinaggio di velocità si pratica attualmente su ovali all’aperto o al coperto, spesso con ghiaccio artificiale. Per i Giochi Olimpici le regole richiedono un ovale al coperto. Una pista regolamentare deve essere lunga 400 mt con i due rettilinei che misurano 111,98 m di lunghezza. Le curve hanno un raggio di 25 –26 mt sulla corsia interna, e ogni corsia è larga 4–5 mt. Il traguardo è posto sempre nella stessa posizione, mentre varia la posizione della linea di partenza in funzione della distanza su cui si svolge la competizione. Nelle gare individuali si affrontano due concorrenti in due corsie. I pattinatori indossano una fascia sul braccio destro per identificare in quale corsia siano partiti. I colori sono il bianco per la corsia interna e il rosso per la corsia esterna. Sul rettilineo opposto al traguardo i pattinatori si scambiano la corsia in modo da coprire la stessa distanza ad ogni giro. Chi pattina all’esterno ha la precedenza. Gli atleti utilizzano i clap skates la cui lamina è lunga tra i 42 e i 46 cm ed ha uno spessore di 1 mm. Indossano inoltre tute speciali intere, comprensive di cappuccio, al fine di ridurre la resistenza all’aria.
Le velocità che gli atleti raggiungono nelle gare delle diverse competizioni internazionali sono molto più alte di quelle delle gare di atletica o di ciclismo e rappresentano le velocità massime che si possano raggiungere in uno sport senza ricorrere ad una trasmissione meccanica, come dimostrato dalle seguenti tabelle:

Tabella 1 – Record mondiali e Velocità medie Donne

Tabella 2 – Record mondiali e Velocità medie Uomini

Figura 2 – Pattino completo da ghiaccio apertoFigura 3 – Strumento per misurare la curvatura della lama

Figura 4 – Lama da ghiaccio

Nel pattinaggio di velocità a rotelle si utilizza un pattino gemello al pattino da ghiaccio, ma con sostanziali differenze: la scarpa risulta più rigida in quanto deve contrastare le maggiori sollecitazioni della superficie sulla quale si compete, il telaio non ha il meccanismo del clap e la lama viene sostituita dalle ruote. Le ruote si fissano ad un telaio prevalentemente di allumino 8000, o di carbonio, su di esso vengono fissate da 3 a 4 ruote di diverse misure, i cuscinetti a sfera permettono il loro movimento rotatorio. La scarpa è in fibra di vetro o di carbonio a 4 strati, quindi più rigida della scarpa per il ghiaccio, ricoperta anch’essa di pelle. La motivazione principale della differenza di rigidità si può collegare, oltre alle maggiori sollecitazioni della strada rispetto alla superficie liscia del ghiaccio, ad un aspetto propriocettivo che definisco “fattore di sensibilità tecnica”, che deve essere maggiore nel pattinaggio su ghiaccio.
Questo fattore di sensibilità tecnica per ambedue le specialità cambia in funzione del tipo di scarpa utilizzata, del tipo di acciaio utilizzato e del tipo di imbarcatura e della affilatura della lama nel pattinaggio su ghiaccio, senza dimenticare le differenti temperature del ghiaccio e dell’umidità che si trova nell’ambiente esterno. Mentre nel pattinaggio a rotelle oltre alla superficie serve calcolare i raggi di curva, la durezza delle ruote, il loro diametro, il loro profilo, e la tipologia dei cuscinetti utilizzati.
Questi fattori meccanici influenzano notevolmente la prestazione, sono stati oggetto di studi e il loro sviluppo è in continua evoluzione, tanto da incidere sui costi dei materiali.

Figura 5 – Pattino completo a 3 ruote

Figura 6 – Pattino completo a 4 ruote


Figura 7 – Esempio di ruote con profilo chiuso

A differenza del pattinaggio su ghiaccio, le gare di pattinaggio di velocità a rotelle si svolgono in differenti tipologie sia di distanze che modalità, e anche diverse sono le superfici e le dimensioni dei percorsi. Ci sono le gare indoor su piste con parquet plastificati o meno, su cemento plastificato. Le gare outdoor possono essere svolte su strade urbane o circuiti stradali, oppure possono essere tenute in luoghi specializzati simili a velodromi, generalmente di circa 200 m di circonferenza e rivestiti di asfalto, cemento o materiale simile. Le curve possono essere sopraelevate. Le tipologie di gara hanno diversi format ed includono: 100 m, prove a cronometro, gare sprint, gara ad eliminazione, gara a punti/eliminazione, staffette, gare distanza, maratone.
Le velocità di gara sono molto elevate, e dipendono soprattutto dalla superficie, dal raggio di curva e dalla lunghezza dei rettilinei. Sotto vengono riportare le tabelle degli attuali record mondiali, distinti per sesso e specialità.

Tabella 3 – Record mondiali di velocità corsa su pista Donne

Tabella 4 – Record mondiale di velocità corsa su strada Donne

Tabella 5 – Record mondiali di velocità corsa su pista Uomini

Tabella 6 – Record mondiali di velocità corsa su strada Uomini

Leggendo le tabelle sopra indicate, rapportando il tempo con la distanza percorsa, si deduce che l’obiettivo principale del pattinaggio di velocità è il raggiungimento della velocità massima. Quindi le strategie di allenamento devono esser condotte in questa direzione, ma tra i diversi e difficili compiti dell’allenatore è necessario ottimizzare il materiale tecnico, onde non vanificare i piani di allenamento.
Quindi occorre preventivamente ridurre al minimo:
1. La resistenza al vento, attraverso l’uso di tessuti speciali, di caschi speciali
2. La ricerca della migliore posizione tecnica più efficace tra le differenti tecniche individuali di pattinata
3. L’elasticità della ruota con il suo conseguente assorbimento di energia
4. L’attrito interno ed esterno: interno per le ruote (uso dei cuscinetti), esterno per la superficie dove si pattina, e la tipologia della lama.

1.2. ANALISI DELLA PRESTAZIONE
Le gare che si svolgono nel pattinaggio di velocità su ghiaccio sono tutte contro il tempo ed individuali, ad esclusione della mass start che è una gara di gruppo. Le gare del pattinaggio di velocità a rotelle sono gare prevalentemente di gruppo ad esclusione della 100, 200 e 300 mt. L’analisi degli interventi metabolici e muscolari che operano nel pattinaggio di velocità dipende dalla tipologia di gara che andiamo ad analizzare. Un fattore comune ad ambedue le specialità è la polivalenza dell’atleta che si cimenta su più distanze, dividendo la sua specializzazione in velocità, da 100 metri a 500/1000 m, con tempi massimi di gara di 68/75 secondi, e distanze da 1500 a 5000/10000 mt, quindi da 90 secondi ai 16 minuti ed oltre.
In questo lavoro analizziamo le distanze medio lunghe. Per capire quali siano i meccanismi energetici che intervengono nel pattinaggio di velocità dobbiamo considerare l’anomala posizione del pattinatore.
L’anomalia principale sta nel fatto che, proprio la particolare posizione seduta nel pattinaggio di velocità genera di conseguenza alti livelli di concentrazione di acido lattico. (Foster, Rubdell ed altri 1999). Il lattato prodotto, specie nel pattinaggio di velocità su ghiaccio, il suo accumulo nella muscolatura e la desaturazione dell’emoglobina nei muscoli, sono i fattori limitanti la prestazione. (Rubdell, Kennett ed altri 1997). Non essendo possibile far “respirare” la muscolatura, per esigenze tecniche, con un’apertura degli angoli al ginocchio fino alla sua massima ampiezza, ne deriva che all’interno del muscolo si genera una pressione negativa che impedisce al sangue di circolare liberamente. Questa mancata circolazione sanguigna, dovuta appunto all’ostruzione dei capillari, generati dalla posizione pressoché statica del
pattinatore, non permette l’afflusso di sangue ossigenato e lo smaltimento del lattato prodotto. Ciò viene dimostrato dagli alti valori di lattato riscontrati nei test sugli atleti, valori che raggiungono 18/20 mMol al test di Mader (test FISR dati non pubblicati).
Due sono i fattori determinanti l’efficacia propulsiva nel pattinaggio di velocità: la forza degli arti inferiori e le abilità tecniche. Una tecnica corretta ha benefici sulla prestazione, riduce l’impegno cardiovascolare e il costo energetico della pattinata. La forza, oltre a rivestire un ruolo fondamentale nel movimento propulsivo degli arti inferiori, ha un ruolo importante nel mantenimento della posizione “seduta”, tipica del
pattinaggio di velocità, in cui si è riscontrata una prolungata contrazione dei distretti muscolari degli arti inferiori con conseguente riduzione del flusso ematico ai muscoli stessi, causando un notevole aumento delle concentrazioni di lattato, maggiori rispetto a quelle rilevate in esercizi di corsa svolti alla stessa intensità. (Rundell ed altri 1995 – Stangier Abel ed altri 2006). Si può quindi affermare che l’efficacia della tecnica contribuisca a ridurre l’impegno muscolare durante il pattinaggio, riducendo il dispendio energetico e la percezione dello sforzo.
Il pattinaggio di velocità è uno sport ciclico che richiede un elevato impegno tecnico, tattico ed organico. La particolare caratteristica che si evidenzia in questa disciplina sportiva è la posizione dell’atleta e le spinte propulsive che ne derivano (Lollobrigida, 2006).
Il pattinaggio di velocità è uno sport incomparabile, in quanto la competizione è prevalentemente ad alta potenza ma richiede anche resistenza significativa (A. Dal Monte). Inoltre, la risposta fisiologica richiesta durante il pattinaggio molto spesso è al di sopra del massimo stato stazionario di lattato. Per difficoltà oggettive non si possono fare valutazioni specifiche durante gli allenamenti o gare, quindi diversi studi sono stati svolti in laboratorio sul tapis roulant. Il pattinaggio di velocità è diverso dagli altri sport di resistenza. In particolare, i piccoli angoli del ginocchio e dell’anca in combinazione con una posizione statica del corpo e un lungo ciclo di spinta nell’azione del pattinaggio (~ 55% vs ~ 33% durante il ciclismo e ~ 10% durante la corsa) (Orie, Hofman, de Koening 2014) forniscono un afflusso di sangue intermittente limitando l’ossigenazione del muscolo durante il movimento del pattinaggio. Questa attività ad intermittenza porta il pattinaggio di velocità ad avere una tendenza più a carattere anaerobico, come ci viene dimostrato in numerosi studi basati sulle misurazioni del lattato nel sangue e sulla saturazione di O2 nel muscolo. (Foster, Rundell 1999 e seguenti).
Questi due fattori, alte concentrazioni di lattato e desaturazione di O2 rappresentano i vincoli fisiologici del pattinaggio di velocità. Facendo un confronto con la corsa a piedi in cui la stazione dell’atleta è eretta e le spinte avvengono in senso antero-posteriore, sia se ci si trova sul dritto sia sulle curve, con una fase di volo alternata tra le fasi di spinta, notiamo che nel pattinaggio di velocità, diversamente, la stazione è seduta: “Sitting Position”. Da questa posizione seduta devono essere generate le spinte propulsive: spinte propulsive laterali  che permettono lo scivolamento del pattino sulla superficie , non esiste la fase di volo. Se si dovesse paragonare sempre con la corsa, in questa il baricentro viaggia sempre più o meno alla stessa altezza da terra, nella proiezione dall’alto il baricentro disegna una linea retta. Nel pattinaggio di velocità il baricentro rimane più o meno sempre alla stessa altezza, ma nella proiezione dall’alto disegna una linea sinusoidale, conseguenza delle spinte laterali (Figura 8).
La caratteristica posizione “seduta” del pattinaggio di velocità agonistico (Figura 8 e 9) provoca una curva della frequenza cardiaca e di VO2 più spostata verso destra e valori sub massimali di lattato più alti rispetto alla corsa o al ciclismo. L’impatto della modifica dei gradi degli angoli dell’anca e del ginocchio durante la pattinata è stata oggetto di un test sul tapis roulant, indagando la frequenza cardiaca, l’assorbimento di ossigeno e la concentrazione di lattato nel sangue. È emerso che pattinando più bassi si ha un picco di VO2 inferiore, una frequenza cardiaca più alta e concentrazioni di lattato nel sangue più elevate rispetto al pattinare in posizione meno
bassa. Il picco di assorbimento di ossigeno era inferiore di circa l’8% a O2 fisso (50 ml · kg-1 · min-1), la concentrazione di lattato nel sangue al test era di circa due volte superiore durante la pattinata con angoli più chiusi. (Piuccio, Soares ed altri 2018 – Oire Hofman 2014).
L’assunzione di ossigeno viene compromessa ed i valori più alti di lattato nel sangue sono una conseguenza della riduzione del flusso sanguigno al muscolo del pattinatore. Muscolo che esercita una maggiore pressione nella posizione del pattinaggio sui vasi sanguigni. Il muscolo, durante le fasi di spinta del pattinaggio, è sottoposto a una contrazione statica del quadricipite che compromette il flusso sanguigno e l’ossigenazione ai muscoli durante la pattinata stessa, con conseguenti valori di lattato maggiori. Si viene a limitare l’uso di ossigeno e l’aumento della dipendenza di produzione di energia dal meccanismo anaerobico.

Figura 8

Figura 9 

Figura 8, 9 – Pattinatore ripreso nello stesso tratto con due angoli al ginocchio differenti. L’angolo più ottuso (106.6°) è quello biomeccanicamente più efficiente, ma fisiologicamente più impegnativo dell’angolo più acuto (113.7°)

Adottare una tecnica di pattinata in posizione più seduta di un’altra implica differenze fisiologiche ed offrono un’opportunità unica per valutare la diversità di de-ossigenazione dei muscoli. Un flusso sanguigno limitato dovrebbe causare un aumento della de-ossigenazione Hb/Mb in concomitanza con la produzione di energia anaerobica, ma ciò è incompatibile con l’assunzione di ossigeno da parte dell’intero
corpo. Stringer et al. Che hanno dimostrato che l’acidificazione del sangue capillare muscolare causata da lavori al di sopra della soglia di lattato rappresentano praticamente tutta la dissociazione di O2Hb. Di conseguenza, un flusso sanguigno limitato ed il successivo aumento della de-ossigenazione di emoglobina nel sangue (anche in presenza di un aumento della ventilazione polmonare) porta ad un ulteriore aumento, non dato dall’intensità dell’esercizio fisico, dell’attività anaerobica con una maggiore acidificazione del sangue. Doppia concausa che fa aumentare la curva di dissociazione dell’emoglobina.
Studi fisiologici sui pattinatori di velocità hanno dimostrato che, allenandosi ad una determinata intensità di VO2, identica per la corsa ed il ciclismo, nel pattinaggio avviene una riduzione del picco stesso, un aumento dell’accumulo di lattato nel sangue e spesso una frequenza cardiaca sproporzionatamente alta. Evidenziando un impegno fisiologico maggiore nel pattinaggio, rispetto alla corsa e al ciclismo. (Konigs ed altri 2015). La causa di queste differenze non è stata ben individuata. Si potrebbe spiegare se la parte di muscolo attivo interessata al movimento fosse minore, ma è improbabile che il pattinaggio utilizzi una massa muscolare minore rispetto al ciclismo.
Nel pattinaggio si innesca a livello muscolare locale un circolo vizioso che nasce tutto dalla “sitting position” e possiamo descriverla in questo modo:
• Elevate forze muscolari e/o il ciclo di lavoro prolungato imposto dalla lunga durata della fase di scorrimento, limitano il flusso sanguigno e generano ischemia muscolare locale. Questa, a sua volta, potrebbe portare a una riduzione del V̇ O2 e favorire l’accumulo nel muscolo e nel sangue di lattato. La richiesta di O2 dal muscolo potrebbe portare a un aumento sproporzionato dell’HR rispetto al V̇ O2. Questo fenomeno è stato frequentemente osservato durante l’allenamento di resistenza o fenomeno attribuibile all’influenza del riflesso del metaboreflex sul HR (Riflesso innescato dai metaborecettori, che si attiva durante l’esercizio fisico, e aumenta il flusso sanguigno e la ventilazione) (Kuipers, ed altri 2006).
• Pattinando in una posizione più bassa, tutto quanto sopra descritto aumenta inevitabilmente, ne scaturisce una ridotta gittata cardiaca in generale accoppiata con l’aumento della pressione sanguigna e della resistenza vascolare sistemica. Per compensazione si sviluppano ulteriori aumenti dell’HR necessari per rispondere alle esigenze di O2.
• Pattinando in posizione alta, i fenomeni sopra descritti si riducono e viene favorito l’aumento della differenza arterio-venosa di O2, che è in grado di compensare una maggiore resistenza vascolare sistemica e una minore gittata cardiaca per produrre un equivalente V̇ O2 peak. Tuttavia, anche pattinando a bassa intensità, viene segnata un’adeguata desaturazione muscolare, cosa che non avviene in altre attività sportive (Foster Rundell 1999).
Il pattinare in una posizione più bassa rispetto ad una più alta, con differenza all’angolo del ginocchio di appena 9° (114,3 ± 4,5° vs 123,1 ± 5,0°), nonostante il conseguente svantaggio fisiologico, permette di guadagnare 1” al giro su un massimo di 5 giri.
Se si ragiona solo in questi termini ci sarebbe un vantaggio notevole nel pattinare in una posizione più bassa. Questo vantaggio viene però compensato dalla riduzione del picco di V̇ O2 misurato durante una simulazione di pattinaggio sul tapis roulant in una posizione più bassa rispetto a quella più alta; compensazione che dovrebbe essere di circa 1” al giro nella velocità sempre su un massimo di 5 giri. Questo fattore va a compensare quasi completamente il vantaggio ottenuto con una posizione di pattinaggio più bassa. Quindi sono gli atleti esperti che trovano spontaneamente la loro migliore posizione di tecnica, in modo da ottimizzare individualmente le equazioni biomeccaniche rispetto a quelle fisiologiche. (Foster, Rundell, Kennet ed altri 1999).
Simulazioni di pattinata su una “slide-board”, condotta in laboratorio, ha dimostrato che i pattinatori “si siedono” in una posizione progressivamente più bassa durante gli allenamenti in tutto il periodo di allenamento dell’anno (ad esempio, con un angolo di pre-estensione inferiore del ginocchio), questo senza modifiche sistematiche sul picco di V̇ O2. Quindi, mantenendo intensità adeguate di allenamento, il risultato degli adattamenti specifici dell’allenamento stesso potrebbe permettere ai pattinatori di ottenere i vantaggi biomeccanici della posizione bassa senza sacrificare le capacità fisiologiche (Piuccio, Soares, ed altri 2018).
Le conseguenze dello stare nella “sitting position” non si limitano solo all’aspetto muscolare e cardiocircolatorio, come abbiamo già visto, ma indagini più approfondite, con il Doppler, ci rivelano che il flusso sanguigno a livello muscolare locale risulta intermittente, conseguenza delle forti tensioni muscolari che servono a mantenere la posizione statica. Questo fattore incide, oltre che sulla pressione intramuscolare, anche sulla gettata sistolica, la quale rimane buona durante il rilassamento del muscolo, ma si riduce quando il muscolo rimane in tensione.
Siccome il tempo di tensione muscolare è più lungo del ciclo cardiaco, capita che nelle fasi diastoliche (riempimento di sangue delle cavità cardiache) si riduce il flusso sanguigno. Di conseguenza tutto il flusso sanguigno muscolare è relativamente ridotto durante le fasi della pattinata e viene compensato da alte frequenze cardiache.
Si spiega così l’osservazione per la quale le frequenze cardiache siano leggermente sproporzionate durante la pattinata in una posizione più bassa. Anche in questo caso entra in gioco il riflesso del metaboreflex (riflesso viene attivato durante l’esercizio fisico che aumenta il flusso sanguigno e la ventilazione) in cui la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna sistemica sono aumentati durante i periodi di ridotta pressione di perfusione muscolare. I meccanismi sopra descritti avvengono tutti nel rettilineo. Dovendo il pattinatore affrontare le curve, perché le gare si svolgono su più giri, accade che nelle curve stesse il tutto viene amplificato. Le spinte propulsive subiscono una diversa distribuzione tra i due arti inferiori e il pattinatore è vincolato anche dalla forza centrifuga.
La definizione tecnica è di spinta con il passo incrociato: la gamba esterna alla curva, al termine della spinta, viene riportata accavallandosi alla gamba interna, che effettua la sua azione in adduzione al di sotto della gamba esterna. Gli angoli al ginocchio non subiscono modifiche sostanziali, rimane il fatto che aumenta la tensione muscolare, specie di natura eccentrica, ed in particolare sulla gamba interna alla curva.

2. MODELLI DI ALLENAMENTO NEL PATTINAGGIO DI VELOCITÀ
Abbiamo visto come la “sitting position” influenza i meccanismi fisiologici e come la tecnica influenza il risultato sportivo. Per meglio comprendere il tutto vengono appresso descritte le diverse fasi della pattinata. Questo ci permetterà di comprendere al meglio sia il modello di prestazione che il conseguente modello di allenamento.

Figura 10 – Panoramica del movimento di pattinaggio di velocità, ricostruito dai dati di
un partecipante. (Eline van der Kruk 2018)

A) Vista frontale del movimento di pattinaggio, suddivisa in quattro fasi: fase di scorrimento, fase di spinta, fase di riposizionamento e doppia posizione, in cui entrambi i pattini sono sulla pista. L’angolo di spinta della gamba permette la spinta orizzontale durante il movimento sul piano frontale. Le frecce indicano la forza di spinta nello spazio globale, la scala è indicata nell’angolo in alto a sinistra. La linea grigia indica il movimento Centro di gravità della parte superiore del corpo.
B) Vista dall’alto del movimento di pattinaggio. Le linee rosse, blu e nere indicano le traiettorie rispettivamente dello skate destro, dello skate sinistro e del centro di gravità della parte superiore del corpo sulla pista. L’angolo di sterzata è l’angolo che il pattino fa con l’asse x globale mentre si trova sulla pista.
Una azione corretta nel pattinaggio di velocità può essere descritta dalle fasi 1-7.
1. Il pattinatore posiziona il pattino destro sulla pista sotto al bacino, mentre esegue la spinta con il sinistro e la forza sul pattino raggiunge quasi il suo valore di picco.
2. Il peso del pattinatore è diviso uniformemente sul pattino destro e sinistro.
3. Tutto il peso viene spostato sul pattino destro, il pattino sinistro viene ritirato dalla pista, che termina la fase di doppia posizione.
4. Il pattinatore abbassa la parte superiore del corpo diminuendo l’angolo del ginocchio. Abbassare la parte superiore del corpo provoca un’impennata nella normale curva di forza del pattino. In questa fase, fase di scorrimento, l’angolo di inclinazione si trasforma da negativo a positivo, quindi il pattino si sposta dal lato laterale al lato mediale della lama. L’angolo di sterzata del pattino è al massimo quando l’angolo di inclinazione è zero.
5. Il pattinatore sposta la parte superiore del corpo lontano dal pattino, aumentando così la forza su di esso. Poiché l’angolo di inclinazione è ora positivo e quello di sterzata ha ancora positivo, il pattinatore ha una componente di forza sia nella direzione anteriore che laterale della pista.
6. Il pattinatore continua ad aumentare la forza, allungando il ginocchio (fase di spinta), fino alla forza di picco. Poco prima del picco il pattino sinistro viene riposizionato sulla pista, analoga posizione n. 1.
7. Il pattinatore sposta il suo peso sul pattino sinistro, fino a quando tutto il peso viene spostato e il pattinatore ritrae il pattino dalla pista. Si riposiziona quindi il pattino correttamente, giusto in tempo per il colpo successivo. Durante la corsa la parte superiore del corpo del pattinatore ha un movimento su e giù di circa 0.15 mt. La distanza percorsa nel tratto visualizzato, in questo caso, era di 12.6 mt.
Da questa dettagliata descrizione tecnica, e da quanto emerso nei capitoli precedenti, si comprende meglio che il pattinaggio è una specialità atipica, dove sinergie diverse (tecnica, mezzo meccanico, superficie di pattinata, parametri fisiologici, parametri muscolari, parametri biomeccanici, esperienza personale, tattica) tra loro entrano in gioco nel definire il modello di prestazione e le conseguenti strategie di allenamento.
Durante diversi stage della nazionale italiana di pattinaggio velocità a rotelle (a cui ho partecipato anche io in qualità di atleta) si sono svolti diversi test di valutazione funzionale. In particolare il Test di Mader è il test di indagine sugli atleti fondisti. I dati non pubblicati indicano che pattinatori di alto livello e qualificazione, oltre a raggiungere velocità elevate, hanno una curva del V02max spostata più a destra e i
valori di lattato possono raggiungere anche i 18 mmol.
In sostanza, una gran porzione dell’allenamento a qualsiasi livello di qualificazione dell’atleta, deve essere indirizzata ad allenamento tecnico e deve necessariamente svolgersi per lo più a bassa intensità.
Viene adottato il protocollo Dal Monte (1996) per identificare a quale attività rientra il pattinaggio di velocità:
1. Attività ad impegno prevalentemente anaerobico alattacido o di potenza (100/200 mt)
2. Attività ad impegno prevalentemente anaerobico lattacido (durata: 25-45”)
3. Attività ad impegno aerobico-anaerobico massivo (durata 45” – 4/5 minuti), con alta percentuale di forza muscolare distrettuale richiesta e alta percentuale di masse muscolari impegnate
4. Attività prevalentemente aerobico (durata superiore ai 4/5 minuti), con alta percentuale di forza muscolare distrettuale richiesta e alta percentuale di masse muscolari impegnate.
Come già più volte indicato non si deve trascurare:
1) Attività di destrezza con notevole impegno muscolare
2) Attività di destrezza con impegno muscolare e tecnico.
Le valutazioni funzionali identificano in sintesi che l’atleta di pattinaggio velocità deve presentare le seguenti caratteristiche:
1) Alti valori di potenza aerobica, tipici di un atleta di resistenza
2) Caratteristiche neuromuscolari migliori degli atleti di resistenza, avvicinandosi ai valori di atleti di sport esplosivi
3) Deve essere in grado di supportare alti livelli di concentrazione di lattato ematico.
Chi si intende di metodologia dell’allenamento può notare che i parametri sopra indicati possono contrastare tra loro. In effetti è difficile far conciliare buone/ottime capacità di forza esplosiva con meccanismi energetici aerobici ed anaerobici, che necessitano di alti valori.
Serve in sintesi far accostare le attività di potenza con quelle aerobiche, l’attività di allenamento neuromuscolare di forza massima con l’attività di potenza aerobica.
L’obiettivo dell’allenatore di pattinaggio velocità, quindi, è quello di saper sfruttare il campo: partendo dall’osservazione e dalle sue competenze specifiche, successivamente supportate dalla ricerca scientifica, ha saputo adattare e conciliare allenamenti ad alta o altissima intensità con allenamenti di forza e di potenza con allenamenti a bassa intensità. Negli anni sono state queste le strategie di allenamento, oggi con termini attuali si parla di allenamento concorrente, di HIIT, di allenamento polarizzato.
Uno studio condotto trasversalmente su 38 anni di dati, raccolti tra varie esperienze pratiche di atleti olimpionici di pattinaggio di velocità, ha definito quelle che sono le migliori strategie di allenamento, migliori in termini prestativi in gara.
Attualmente le modalità di allenamento per l’endurance maggiormente in uso sono prevalentemente due:

1) Allenamento alla soglia
2) Allenamento polarizzato

Seppur ancora oggi ci sono diversi atleti del pattinaggio di velocità che seguono il metodo alla soglia, la maggior parte di loro utilizza il modello polarizzato. Vedremo in seguito come viene applicato questo modello nel pattinaggio di velocità. Per meglio intuire come si concilia con l’allenamento di forza esaminiamo le problematiche che derivano dal combinare esercizi di forza con quelli aerobici. Ossia la possibilità di migliorare parallelamente la propria resistenza (allenamento muscolare) e l’endurance (allenamento di resistenza).

2.1. ALLENAMENTO CONCORRENTE
Questo modello di allenamento prevede la combinazione di esercitazioni di forza con esercitazioni di endurance. Si pensava che tali attività fossero in contrasto tra loro, ma le evidenze scientifiche hanno dimostrato il contrario. I primi studi sull’allenamento concorrente (Hickson, 1980) mostrarono il miglioramento della forza ma non della resistenza (VO2max); questa poteva essere compromessa nel momento in cui si realizzavano, nello stesso giorno, sessioni di allenamento concorrente che prevedevano la corsa e la forza ad alta intensità e ad alta frequenza settimanale, che al contrario l’allenamento di forza sembrava migliorare il rendimento della resistenza.
Secondo Murach e Bagley (2016), l’allenamento concorrente non sembrerebbe interferire con l’allenamento della forza che induce l’ipertrofia. Secondo quest’ultimi, quando il volume e il recupero di entrambe le sessioni è adeguato, può verificarsi un aumento della massa muscolare. Wilson et al. (2012) hanno osservato che il ciclismo non influisce tanto sull’interferenza degli adattamenti della forza quanto il correre. Almeno due ragioni potrebbero spiegare la differenza: il correre infligge danni muscolari a causa della sua natura “traumatica”, mentre il ciclismo no. D’altra parte, Sabag et al. (2018) hanno notato il contrario. Il ciclismo ad alta intensità ha interferito più con gli adattamenti della forza che con la corsa ad alta intensità, quindi non si può dire nulla su quale sia il metodo più proficuo.
Questo aspetto è stato evidenziato spontaneamente nel pattinaggio di velocità dove gli allenamenti di ciclismo vengono svolti a regime aerobico, fondamentale per “ossigenare la gamba”, espressione tipica degli allenatori di pattinaggio. Mentre la corsa a piedi viene impegnata solo per brevi sessioni di riscaldamento, o ad alta intensità ed in particolare in salita. Questo aspetto è inserito anche nelle mie sessioni di allenamento.
L’effetto dell’interferenza è specifico per una determinata parte del corpo. Infatti, mentre per gli atleti dilettanti e per il fitness funzionale cambiare la modalità di esercizio tra la parte superiore e inferiore del corpo potrebbe essere solo una buona cosa, per gli atleti sport-specifico cambiare la modalità di allenamento potrebbe non essere una scelta consigliata.
Possibili cause di questa interferenza potrebbero essere legate ai seguenti motivi:
Accumulo di fatica residua prodotta dagli allenamenti precedenti sul sistema neuromuscolare
• Deplezione delle riserve di glicogeno muscolare
• Trasformazione del tipo di fibra muscolare, da IIb a IIa e da IIa a I
• Sovrallenamento prodotto dai disequilibri tra i processi d’allenamento e di recupero dell’atleta
• Inibizione della sintesi proteica attraverso l’allenamento dell’endurance, con il conseguente calo della sezione trasversa delle fibre muscolari e una riduzione della capacità del muscolo di generare tensione
Quali potrebbero essere i motivi?
La maggior parte degli studiosi identifica l’interferenza come un problema di conflitto a livello di segnali molecolari, che innescano l’adattamento ad un determinato tipo di stimolo piuttosto che ad un altro. Stimoli di tensione o di sovraccarico meccanico, come esercitazioni di forza, inducono un’attivazione di sintesi proteica con attività anabolica.
Quindi, gli esercizi di endurance inibiscono la sintesi proteica, favorendone la loro degradazione (Bolster, Crozier, Kimball & Jefferson 2002; Coffey & Hawley, 2007; Nader,2006).
In pratica, la fosforilazione ossidativa del ciclo di Krebs, attivata durante l’allenamento aerobico, crea un effetto inibitorio sul meccanismo di sintesi proteica, andando ad ostacolare l’effetto ipertrofico indotto dell’allenamento della forza, sbilanciando il sistema verso una attività catabolica.
Seppur sempre contrastanti le idee riguardo l’allenamento concorrente, sono state dettate delle linee guida ( García-Pallarés et al. 2011) per ridurre gli effetti negativi dell’allenamento concorrente:
1. L’ordine nella sequenza dell’allenamento
2. La frequenza settimanale e volume d’allenamento
3. Intensità d’allenamento
4. Modalità d’esercizio dell’allenamento di endurance
5. Durata del recupero tra le sessioni dell’allenamento.
L’ordine delle sessioni, elencate dalla più alla meno efficiente:
1. In giorni alterni (intra-microciclo) si massimizzano gli adattamenti positivi e si minimizzano le interferenze
2. Nello stesso giorno (inter-sessione) si effettueranno due o più sessioni con intervallo minimo di sei ore, effettuando la sessione di resistenza alla mattina
3. Nella stessa sessione (intra-sessione), in mancanza di tempo, verrà proposta per prima la sessione che si ritiene prioritaria o quella caratterizzata da intensità massima, anche se di obiettivo secondario. Inoltre, realizzare una sessione di forza dopo una sessione molto leggera di endurance migliora gli adattamenti di endurance più che una sessione di endurance isolata. (Questo ultimo metodo veniva spesso praticato dal mio gruppo di allenamento, dove per ragioni logistiche e di tempo, si sviluppavano esercitazioni particolarmente intense di forza, specialmente di tipo eccentriche, sui gradoni e successive esercitazioni sui pattini di tipo aerobico).
Per quanto riguarda la frequenza settimanale sono sufficienti tre sessioni di allenamento concorrente, poiché permettono già di ottenere adattamenti di forza e potenza muscolare positivi e si minimizzano le interferenze sui benefici dell’allenamento di endurance.
Per quanto riguarda il volume, è ritenuto uno stimolo raccomandabile per un ottimo sviluppo della forza eseguire 3-5 serie per ogni esercizio specifico e tecnica. Inoltre, nella meta-analisi di Wilson si indica che gli atleti dovrebbero evitare di fare coincidere l’allenamento di forza con l’esercizio di resistenza di lunga durata realizzato con frequenza settimanale > 3 volte.
Tuttavia, l’allenamento concorrente in alcuni casi sviluppa adattamenti compatibili tra loro che non vanno a creare interferenze significative.
Questo accade nei seguenti casi di allenamento:
– La compatibilità è massima e l’interferenza è nulla quando l’allenamento di endurance ad intensità moderata-bassa (vicino alla soglia aerobica) viene combinata con quella di forza ad intensità elevate (con una maggior stimolazione neuro-muscolare). Poche ripetizioni per serie, senza generare alto stress metabolico
– Sono di compatibilità intermedia e con bassa interferenza quando l’allenamento di endurance ad intensità moderata-bassa (prossima alla soglia aerobica) è combinato con quello di forza con caratteristiche proprie di un allenamento più strutturale e con notevole stress metabolico. Oppure quando l’allenamento di endurance ad alta intensità (vicino alla potenza aerobica massima) è combinato con quello di forza ad intensità elevate con una maggior stimolazione neuro-muscolare (poche ripetizioni per serie, senza generare alto stress metabolico)
– Quando, invece, entrambi gli allenamenti provocano adattamenti a livello periferico con un’alta richiesta tecnica (volta a produrre energia durante gli sforzi), sembra che il grado di incompatibilità adattativa sia alto poiché competono tra loro gli adattamenti muscolari antagonisti a livello metabolico, strutturale e molecolare.
Partendo da queste osservazioni sugli adattamenti, Docherty e Sporer hanno costruito un modello basato sulla cosiddetta: “Zona di Interferenza”.

2.2 ALLENAMENTO POLARIZZATO
Da quando esistono le gare di pattinaggio di velocità, questo metodo di allenamento per le attività di endurance veniva praticato anche senza convinzioni scientifiche a supporto, dettato dall’esperienza pratica. Ad oggi, con il supporto scientifico, è la metodologia maggiormente impegnata in questa disciplina sportiva. Il perché si preferisce il modello polarizzato va ricercato sicuramente con quanto raccontato in precedenza.
Abbiamo visto che il pattinare genera una fatica muscolare locale, alte frequenze di HR che stancano l’atleta fino a arrivare ad esaurire le scorte di glicogeno muscolare. Questo esaurimento precoce, rispetto alla corsa o al ciclismo, impedisce all’atleta di continuare l’allenamento nella direzione che viene impostata dal programma di allenamento stesso. In pratica, si corre il rischio concreto che all’inizio dell’allenamento il lavoro abbia una direzione specifica, ad esempio anaerobica lattacida, ma verso la fine potrebbe, esaurendo le riserve energetiche, assumere una direzione più aerobica, diminuendo necessariamente l’intensità dell’allenamento.
Altro aspetto in una programmazione di un micro ciclo: se ci si allenasse sempre sui pattini nel micro ciclo stesso, l’atleta andrebbe sicuramente in default glicolitico, in caso non adottasse adeguate misure di allenamento compensativo off skate. In questo caso l’allenamento in bici per “ossigenare le gambe” è il più indicato.
Esaminiamo brevemente le caratteristiche dell’allenamento polarizzato dei pattinatori di velocità e perché viene considerato tale.
Il pattinaggio di velocità necessita di intensità elevate e di alti gradienti di forza per produrre i necessari effetti spendibili in gara. Ovviamente, l’allenarsi ad intensità e volumi elevati per lunghi periodi o blocchi di allenamento non è proponibile, quindi serve conciliare allenamenti tecnici, neuro-muscolari, aerobici ed anaerobici.
Nel 2006 un ricercatore americano, studiando gli allenamenti dei canottieri e degli atleti dello sci da fondo, ma non quelli del pattinaggio di velocità, divenne il padre fondatore dell’allenamento polarizzato: Stephen Seiler.
Il modello di allenamento polarizzato è basato sul principio 80/20, ossia 80% di lavoro a bassa intensità, 20% ad un’intensità superiore alla soglia anaerobica, o allenamento di carattere neuromuscolare.
L’allenamento polarizzato non è altro che la combinazione tra due livelli di sforzo che stanno agli estremi, ossia la bassa intensità (e alto volume) e l’alta intensità (e basso volume).
Seiler (2006) si è spinto a identificare una distribuzione dell’intensità ottimale, differente dalle 5 zone di intensità attualmente più in uso, adottando nel contempo una tabella di riconversione (Figura 11):
1) zona 1, lattato ≤ 2 mMol / L; 75% – 80%
2) zona 2, lattato 2- 4 mMol / L; 5%
3) zona 3, lattato > 4 mMol / L; 15 – 20 %

Figura 11 – Tabella di conversione delle zone di intensità da uno studio di distribuzione dell’intensità di allenamento di T. Stoggl e Sperlich nel 2014

Di norma vengono considerate diverse zone di intensità di allenamento, queste sono definite sia individualmente, sulla base di test specifici effettuati, ma anche sulla base della frequenza cardiaca. Prevalentemente si considerano 5 zone di intensità, questo per gli allenamenti con il  metodo alla soglia; mentre per l’allenamento con il metodo polarizzato abbiamo visto che le zone di intensità sono solo 3.
Nel programma di allenamento dei pattinatori di velocità sono inclusi anche lavori con sovraccarichi di carattere neuromuscolare particolarmente intensi, che possono essere identificati nella zona 3, anche se questo è di difficile distribuzione e, comunque, concorrono sempre nella formazione dei principi indicati nel paragrafo dell’allenamento concorrente. Le gare di pattinaggio di velocità, invece, sono state tutte considerate zona 3.

Figura 12 – Relazione tra le ore nette di allenamento per settimana e per cicli olimpici. Le ore nette sono da considerare senza i recuperi. (Jac Orie, Nico Hofman, Jos J. De Koninh, and Carl Foster)

Vedendo il grafico, si nota che nel tempo sono diminuite le ore di allenamento, nonostante in questo periodo i record mondiali per i 1500, 5000 e 10.000 mt degli uomini sono migliorati in media del 18%. Probabilmente questo non sembra un fattore importante, ma espresso nella potenza necessaria per pattinare a velocità più elevate, l’incremento è in media di un impressionante 57%. La metà di questo miglioramento può essere spiegato dai miglioramenti tecnologici, l’altra metà dal miglioramento atletico.

Figura 13 – Relazione tra intensità dell’allenamento e la distribuzione negli anni. L’intensità dell’allenamento è divisa in 3 zone: zone 1 < 2 mMol/L lattato: zone 2 2– 4 mMol/L lattato, zone 3 lattato > 4 mMol/L. (Jac Orie, Nico Hofman, Jos J. De Koninh, and Carl Foster)

Se analizziamo la suddivisione dell’allenamento e la durata, ci viene mostrata la  distribuzione delle ore di allenamento nelle 3 zone dove è chiaramente visibile che il contributo della zona 1 è aumentato a discapito delle zone 2 e 3. La figura 13 mostra un aumento lineare significativo per il contributo della zona 1 e un significativo contributo decrescente per le zone 2 e 3.
La distribuzione dell’intensità dell’allenamento nel 1972 era essenzialmente rappresentativa di un modello di soglia classico, mentre il modello di distribuzione dell’intensità di allenamento, da quell’anno in poi, è diventato sempre più polarizzato.
Analizzando una tabella classica di allenamento di un atleta di pattinaggio velocità, calcolandone i minuti netti di allenamento, escludendo i significativi tempi di recupero tra le pause di rifacimento ghiaccio, le ripetizioni durante le sessioni di allenamento erano e sono prevalentemente di carattere intervallato intervallo (Figura 14)

Figura 14. Tabella semplice di un allenamento tipo di un pattinatore di velocità

Figura 15 – Relazione tra le ore nette di allenamento sul ghiaccio per anno

Figura 16 – Relazione tra le ore nette di allenamento sui pattini a rotelle per anno

L’adattamento all’allenamento dipende in parte dal corretto tempo di recupero durante  una sessione. Dalle figure sopra mostrate si evidenzia una netta diminuzione delle ore medie di pattinaggio sia sul ghiaccio che sulle rotelle; questo contrasta con quanto avviene in altri sport di resistenza come il ciclismo, lo sci di fondo, il nuoto e la corsa a distanza. Inoltre, vi è una forte variazione nelle ore di allenamento durante una stagione di pattinaggio di velocità.
Vista questa diminuzione di ore nette di allenamento, come spieghiamo lo sviluppo delle prestazioni nel corso degli anni? Uno dei motivi della mancanza di una progressione significativa delle ore di allenamento nel tempo potrebbe essere il fatto che (come analizzato in precedenza) gli allenamenti e le gare di pattinaggio di velocità, in posizione accovacciata, limitano il flusso sanguigno nelle gambe.
In combinazione con la velocità minima necessaria per mantenere una tecnica adeguata, questa potrebbe essere di intensità intrinseca talmente elevata da tollerare solo un volume limitato, sia in termini di carico momentaneo di metaboliti sia in termini di disponibilità di glicogeno come substrato energetico. A favore di un adattamento specifico, sono importanti gli allenamenti che coinvolgono movimenti
con piccoli angoli del ginocchio e dell’anca. Vi sono prove che il carico muscolare durante le attività portanti, con questi piccoli angoli articolari, provoca una limitazione del flusso sanguigno. Questo flusso sanguigno limitato provoca un deficit di ossigeno nelle fibre muscolari funzionanti, che si traduce in un contributo energetico più anaerobico. Il carattere anaerobico può spiegare perché molte ore di allenamento specifiche sono qualificate a intensità moderata o alta (zone 2 e 3).
In sostanza, troppi allenamenti anaerobici potrebbero ostacolare lo sviluppo della capacità di resistenza. Potrebbe essere la risposta alla domanda.
Secondo formatori e allenatori, l’allenamento sul pattinaggio di velocità su ghiaccio è un fattore importante per migliorare l’efficienza del pattinaggio di velocità. Tuttavia, non vi è stato alcun aumento delle ore di pattinaggio di velocità, sebbene vi sia stato un netto cambiamento in termini di diffusione delle ore di pattinaggio durante la stagione, in particolare si parla di “summer training” indicando il periodo di allenamento estivo sul ghiaccio.
La capillarizzazione, effettuata durante la stagione di allenamento, alternata alle ore di allenamento specifiche che tendono ad essere intrinsecamente ad alta intensità, potrebbe essere un fattore importante che consente la distribuzione dell’allenamento ed il suo evolversi in un carattere più polarizzato. Dato il cambiamento nelle prestazioni, questa più ampia distribuzione delle ore di pattinaggio sembra essere utile per lo sviluppo degli atleti.
Si è arrivati ad un evidente aumento della percentuale di ore di allenamento trascorse nella zona 1 (lattato ≤2 mMol / L) e una diminuzione della percentuale di ore di allenamento nelle zone 2 e 3 nel corso degli anni. L’aumento osservato nella percentuale di allenamento a bassa intensità è dimostrato anche in altri studi sugli atleti di resistenza in una varietà di sport. Una maggiore quantità di allenamento a bassa intensità è efficace nello stimolare gli adattamenti fisiologici. I loro risultati dimostrano che una maggiore percentuale di allenamento nella zona 1 è stata utile. Geijsel riferì nel 1979 che, i pattinatori di maratona che in precedenza avevano fatto molte simulazioni di pattinaggio (ad alta intensità), erano migliorati mentre aggiungevano più ciclismo (a bassa intensità) al loro programma di allenamento. Inoltre, Seiler e Kjerland e Yu et altri hanno riferito che l’allenamento a bassa intensità, in combinazione con una quantità molto più piccola di ore di allenamento a intensità moderata (zona 2) rispetto ad alta intensità (zona 3), è ancora più efficace.
I dati hanno mostrato che le zone di allenamento moderate e alte sono diminuite nel tempo, ma la percentuale di intensità di allenamento moderato è ancora superiore alla percentuale con intensità di allenamento elevato. Ciò è ragionevolmente attribuibile all’intensità intrinsecamente elevata dell’allenamento di pattinaggio, in modo tale che anche i cosiddetti set di resistenza non possano essere realizzati nella zona 1 e diventino attività della zona 2.
La divisione della zona ad alta intensità in una sola zona con lattato > 4 mMol / L è particolarmente aperta alla discussione. In questa zona relativamente ampia possono essere utilizzate diverse intensità di allenamento specifiche per le diverse distanze di gara. Stepto et altri hanno identificato 5 zone di intensità all’80%, 85%, 90%, 100% e 175% della massima potenza erogata dai soggetti all’interno della nostra zona 3.
Partendo da questo presupposto, si può ragionare che nella zona 3 esistono diverse sotto-zone, con diverse intensità, che rendono la zona 3 polarizzata da sola.
Questo potrebbe essere una guida importante per gli allenatori al fine di bilanciare i loro programmi di allenamento e trasferire i risultati della ricerca in altri sport al pattinaggio di velocità. Sulla base dei risultati presentati, si può concludere che i cambiamenti nella distribuzione dell’intensità dell’allenamento sono stati un fattore importante nello sviluppo del pattinaggio di velocità.
L’allenamento polarizzato è quello che, in atleti evoluti, porta i maggiori miglioramenti in termini di VO2max, potenza di soglia, tempo di esaurimento fuori soglia e picco di potenza raggiunto in un test incrementale (Stoggl e Sperlich, 2014; Neal, Hunter, Brennan, O’Sullivan, Hamilton, De Vito e Galloway, 2012).
Questi risultati sembrano derivare proprio dalla distribuzione ottimale dell’intensità permessa dall’allenamento polarizzato. Si è notato, infatti, che sessioni di allenamento in zona 2 e in zona 3 richiedono tempi di recupero simili, mentre per le sessioni di allenamento in zona 1 il recupero è molto più veloce. L’utilizzo quindi di grandi volumi a bassa intensità permette di recuperare facilmente anche le sessioni svolte ad alta intensità, massimizzandone gli effetti e restituendo una sensazione di freschezza all’inizio di ogni allenamento. Questa pratica viene definita, come già indicato, nel gergo specifico del pattinaggio di velocità “ossigenazione”. Quando l’allenatore invita l’atleta ad ossigenare le gambe, necessità conseguente alla postura del pattinatore, l’atleta già sa che dovrà eseguire un allenamento prevalentemente in bici di non meno di due/tre ore a regime molto aerobico.
Ciò permette di combinare facilmente tra loro HVT (High Volume Training) e HIIT (High Intensity Interval Training). Inserire l’HVT nei programmi di allenamento è infatti fondamentale per avere adattamenti positivi metabolici ed emodinamici, come ad esempio l’aumento della massa mitocondriale e della densità capillare, il miglioramento dell’efficienza dell’utilizzo di grassi e glucosio, l’aumento del flusso
ossidativo o l’incremento del VO2max. Ma, per raggiungere ulteriori miglioramenti quando si alza il livello di preparazione degli atleti, è necessario aggiungere alla quantità dell’HVT anche la qualità dell’HIIT, che porta a ulteriori benefici in termini ancora di VO2max, battito cardiaco, volume plasmatico, capacità di estrazione dell’ossigeno, metabolismo aerobico e anaerobico, capacità ossidativa.
Di conseguenza, si può dedurre che l’allenamento polarizzato assimila gli effetti positivi di entrambi i metodi di allenamento, risultando più efficace nel miglioramento della performance.

3. ESPERIENZE PRATICHE DI ALLENAMENTO DI ATLETI DI ALTO LIVELLO
Qualificare un atleta di pattinaggio di velocità di alto livello potrebbe essere semplice ed intuitivo. Basterebbe prendere le classifiche mondiali annuali e tracciare una linea dove riteniamo opportuno: Primi 10 al mondo? Primi 20 al mondo? Partecipanti alle Olimpiadi, ai campionati mondiali? Questo ragionamento potrebbe essere giusto per diversi sport, ma non per il pattinaggio di velocità. Non è da considerarsi attendibile perché esiste una fascia di atleti molto ampia, che ha intrinseche le caratteristiche per essere considerato tale.
Esiste una pluralità di componenti che segnano la prestazione del singolo atleta e la relativa posizione nella classifica, permettendo il verificarsi dell’evenienza di vedere atleti vincenti, in un determinato mese solare, essere completamente fuori forma il mese successivo. Basta un piccolo errore di calcolo nella programmazione dell’allenamento che l’atleta entra in over-reaching e la prestazione comincia a non essere più adeguata al suo personale livello competitivo. A volte è preferibile un minor tasso di volume di allenamento e condizioni tecniche impeccabili per ottenere ottimi risultati.
Il pattinaggio di velocità non è uno sport per giovani atleti, o meglio, non lo è per coloro che non hanno adeguata esperienza o intelligenza sportiva. L’esperienza, o come meglio dire, l’intelligenza sportiva, può essere intrinseca nell’atleta oppure essere di dominio dell’allenatore che sapientemente riesce a gestire e trasmetterla all’atleta stesso. Nel caso in cui si riuscissero a congiungere le due componenti, si
avrebbero atleti capaci di raggiungere imprese memorabili.
Il controllo dell’allenamento, seppur si può ricercare su basi scientifiche, come per la maggior parte delle discipline sportive, nel pattinaggio di velocità si può ricercare nella personale gestione dell’atleta. Abbiamo visto in precedenza come gli atleti riescono a compensare e bilanciare autonomamente i due opposti della componente fisiologica e di quella biomeccanica. Oltre a ricercare questo intrinseco bilanciamento, il pattinatore deve saper gestire al meglio il suo allenamento. Spesso gli atleti, allenandosi in gruppo, si stimolano a vicenda e questo potrebbe comportare un eccesso di spirito competitivo e di confronto. Niente di più sbagliato, il pattinaggio è dettato dal ritmo, dalla  modulazione del tempo di spinta e dal conseguente tempo giro. Eccedere in questi parametri significa sovraccaricare eccessivamente in termini di potenza il lavoro dell’atleta. Bastano pochi secondi di differenza di tempo sul giro che in termini di potenza l’impegno si triplica (Oire, Hofman, de Koening 2014). Se dovesse accadere questo, la responsabilità diventa prevalentemente dell’atleta e sta nella capacità dell’allenatore impedire tali comportamenti, onde invalidare l’esito finale dell’allenamento.
Altri parametri di carattere prevalentemente tecnico (stabilità del gesto specifico), di programmazione, di tipologia di gara, di tipologia della pista o legati allo stato di salute momentaneo dell’atleta, possono condizionarne la prestazione cronometrica in gara.
Risulta quindi fondamentale la maturità dell’atleta, specialmente nel pattinaggio di velocità sul ghiaccio, dove vi sono molteplici componenti metodologiche di allenamento che vanno a discapito di piccole variabili prestative. È fondamentale avere un buon livello di esperienza di gestione della gara, delle intensità dell’allenamento, stabilizzazione tecnica che difficilmente atleti giovani- adulti posseggono. Mentre nel pattinaggio di velocità a rotelle, pur essendo valide le stesse considerazioni sopra riportate, la variabile tattica risulta molte volte condizionante le classifiche di gara.
Si può considerare atleta di alto livello colui che ha messo in luce determinate abilità e che partecipa costantemente ad un processo di formazione con impegno almeno di 20/25 ore settimanali di allenamento, dedicando ad esso formazione fisica, tecnico-tattica, abilità generali e specifiche, con un dettagliato controllo dell’allenamento e del mezzo tecnico.
Andiamo adesso ad analizzare alcune esperienze di preparazione annuale di atleti che si sono distinti nei risultati agonistici sia in termini assoluti di risultati, sia in termini di progressione e crescita di prestazioni nazionali ed internazionali.
Il primo aspetto che dobbiamo considerare nei programmi di allenamento che sono stati elaborati, oltre al calendario gare, sono gli obiettivi programmatici. La programmazione annuale è stata elaborata a blocchi. Ciascun blocco prevedeva l’insieme delle attività di formazione, non privilegiandone nessuna in particolare; il fattore vincolante era conciliare l’attività di resistenza con quella della forza.
Viene in seguito presentato uno schema di allenamento annuale elaborato dal Prof. Maurizio Lollobrigida, per un atleta inserito in un gruppo di lavoro plurimo. Questo programma è stato validato dall’High Performance Sport New Zealand, essendo un atleta di nazionalità neozelandese che per la prima volta ha partecipato ai Campionati Mondiali di velocità su ghiaccio, ottenendo un ottimo 6 posto in classifica finale. Il programma rispettava il seguente protocollo di lavoro:

MODALITÀ DI ALLENAMENTO DELL’ENDURANCE/ RESISTENCE/FORZA
• Per ottimizzare la qualità di una sessione di allenamento di forza degli arti inferiori, l’allenamento NON VIENE preceduto da un esercizio aerobico che includa i medesimi arti, a meno che non si sia voluto interferire per creare un maggior stress alla muscolatura degli arti inferiori. Questo per spostare la direzione dell’allenamento in senso neurogeno, al fine di ottenere un maggior reclutamento neuromuscolare post esercizio aerobico. (esperienza pratica).
• Contemporaneamente, si può procedere alla sessione di allenamento di forza degli arti superiori, perché non subiscono interferenza se preceduta da un esercizio aerobico che coinvolga la muscolatura della parte inferiore del corpo.

DURATA DEL RECUPERO TRA LE SESSIONI
• Tra la sessione di allenamento antimeridiana e pomeridiana viene posto un intervallo di 6 ore tra le due sedute per ridurne l’effetto dell’interferenza; in relazione alla tipologia del blocco si aspettavano da 24 a 48 ore tra diverse combinazioni di allenamento per annullarne del tutto l’interferenza. Un mancato recupero provoca accumulo di lattato e quindi insorgenza della fatica e abbassamento del Ph. L’accumulo di metaboliti potrebbe spiegare in parte il fenomeno di interferenza acuta durante l’allenamento concorrente. L‘interferenza tra i due sistemi dipende dall’intervallo di recupero tra i due allenamenti:
• È assente dopo un intervallo di 24 h (intra-microciclo)
• È minima con un intervallo di 6-8 ore (inter-sessione)
• È la più difficile da controllare (intra-sessione)
Riuscire a organizzare un’adeguata periodizzazione degli allenamenti con un’alta concentrazione del carico e con un ridotto numero di obiettivi per ciascuna sessione di allenamento, ha permesso all’organismo di produrre adattamenti positivi, minimizzando gli effetti del fenomeno dell’interferenza.
In conclusione, per produrre effetti benefici si è proceduto solo attraverso una programmazione annuale ben strutturata, dove la necessità di applicare due stimoli diversi ha mirato al massimo risultato in entrambe le direzioni.
Vista la necessità di allenare due capacità opposte tra loro, o nella stessa sessione o in sessioni separate, si sono alternate le sessioni in base all’intensità alto/basso. Il tutto modulato in rapporto al blocco di lavoro, alle fasi della stagione agonistica, alla tipologia di gara.
Nella programmazione sono state seguite alcuni punti chiave per ridurre l’interferenza e per ottenere i massimi benefici:
• Due/Tre sessioni settimanali di forza sufficienti per conseguire miglioramenti nello sviluppo di questa capacità. Da notare che non solo
sessioni di muscolazione in palestra con sovraccarichi, ma anche sessioni di pliometria eseguiti in forma eccentrica/concentrica. Sessioni di forza in salite brevi in bici e a piedi, sessioni di lunghe salite in bici e a piedi, definite SFR. Variando l’intensità da sotto-massimale a sovra-massimale, con volumi molto limitati
• La sessione di forza, se si svolgeva prima di quella di resistenza aerobica, in particolare in bici come sprint brevi massimali in salita, ci permetteva di mantenere un livello elevato dell’allenamento dal punto di vista qualitativo e quantitativo durante l’allenamento di forza
• Non sono state applicati protocolli per combinare l’allenamento di forza orientato verso l’ipertrofia muscolare con sessione ad alta intensità (vicina al VO2max) di resistenza, poiché si genera un alto grado di interferenza. Questo perché lo sviluppo di entrambe le capacità produce adattamenti di tipo periferico totalmente opposti. Evitando di allenare fino al cedimento muscolare si ridurrà in maniera parziale lo stress metabolico e ormonale, che comporta l’allenamento di forza e si agevolerà l’organismo a recuperare in modo più rapido e ottimale dagli sforzi
• Distanziando le sessioni di forza e di resistenza degli stessi gruppi muscolari per facilitarne il recupero e un maggior adattamento agli stimoli dell’allenamento concorrente
• Ampie e consistenti sessioni in bici di “ossigenazione” muscolare
• Test Race di controllo e di affinità tecnico tattica
• I blocchi di allenamento hanno una durata media di 18/20 giorni, sufficienti a creare i necessari adattamenti fisiologici e muscolari
• Utilizzo della scala di Borg RPE 1/10 per valutare l’intensità soggettiva dell’atleta.
In sintesi il foglio di lavoro in file Excel per identificarne i caratteri:

Foglio di lavoro per una stagione di allenamento di un gruppo di atleti impegnati in una doppia periodizzazione. Per il calcolo dell’intensità
dell’allenamento è stata utilizzata la Scala RPE di Borg 1/10.
Qui sotto in sintesi le caratteristiche generali delle diverse componenti e dei diversi sottogruppi delle caratteristiche dell’allenamento:

Nel foglio di lavoro Excel con la programmazione giornaliera del tipo di allenamento viene indicata la componente principale della seduta prevalente, iniziando il periodo nel mese di Aprile, dopo la conclusione della stagione invernale 2014/2015.
La scala dei colori indica il carico di lavoro che va dal meno intenso, color celestino, al carico più intenso, rosso amaranto:


In questa tabella sono indicate le differenti componenti strategiche dell’allenamento e la famiglia a cui appartengono:

Successivi modelli di allenamento sono stati elaborati per altri atleti impegnati in una periodizzazione doppia, ma di un’unica stagione di pattinaggio a rotelle. Per giovani atleti evoluti che dovevano ancora completare il loro percorso di maturazione sportiva, come per studenti di liceo con difficoltà a svolgere la doppia seduta di allenamento, si utilizzava il seguente schema di lavoro:
GIORNO 1: 1 h 30’ lavoro complessivo svolto prevalentemente sui pattini, preceduto da sessione di allenamento pliometrico  eccentrico/concentrico e successivamente 5×8’ 90 VO2max, 4’ rec. In alternativa 40 secondi piano e 20 secondi forte organizzate in 2
serie da 15 o 20 ripetizioni.
GIORNO 2: 2 h 30’ uscita in bici intensità bassa costante in zona 1.
GIORNO 3: 1 h lavoro complessivo di atletica – 2×4’ (20’’ 95-120% VO2max + 10’’ rec.), 10’ rec. Corsa al 60% VO2 max continua o modalità 15”/15” o 30”/30” (corsa media o veloce – allungo intervallato camminata) + Tabata
GIORNO 4: 1 h 30’ prevalentemente sui pattini – 2 set x 4×5’ 95% VO2max, 3′ rec. 3/3 di esercitazioni di massima velocità di gara (giro lanciato) distribuito nell’arco dell’allenamento.
GIORNO 5: 1 h 30’ prevalentemente pattini, lavoro tecnico – 2 set x 4×5’ 95% VO2max, 3′ rec.
GIORNO 6 mattina: 1 h – 2×10’ (40’’ 90-95% VO2max + 20’’ rec.), 3’ rec. In alternativa allenamento di SFR (Salite Forza Resistenza)
GIORNO 6 pomeriggio: 2 h 30’/3 h – uscita in bici distanza a intensità bassa costante in zona 1. Ossigenazione muscolare.
GIORNO 7: riposo
Nello schema sopra esposto compare un’esercitazione sulla quale serve spendere due parole, il TABATA.
In questa ultima scheda di allenamento è stata inserita un’attività allenante nuova, che fu ideata dal Prof. Izumi Tabata negli anni 1996. Il Prof. Tabata, Preside di una scuola giapponese ma appassionato di pattinaggio, nell’intento di migliorare il modello di allenamento nel periodo estivo, ossia quando non si poteva pattinare sul ghiaccio, partendo dall’osservazione pratica dello sforzo fisiologico e muscolare di questi atleti in gara, intuì questo modello ed ideò il protocollo che prese il suo nome.
In particolare, il Prof. Tabata, con occhio clinico dell’educatore, osservando l’allenamento del responsabile delle squadre nazionali giapponesi, Irtisawa Koichi, seppe individuare empiricamente come influenzare in meglio l’allenamento del pattinatore di velocità.
Mise a confronto sei settimane di allenamento tradizionale alla soglia, svolto sulla bicicletta, con sei settimane di allenamento sviluppato sulla base di 20 secondi di salti continui, il noto CMJ a 20”, con una pausa di 10”, il tutto riprodotto per 7/8 volte, ossia 4’ continui di lavoro intermittente svolto ad intensità elevatissima, pari al 170% del VO2max. Il tempo di esercitazione fu calcolato sulla base delle attività che svolgevano in pista gli atleti: i 4’ erano pari a circa 7/8 giri. Una distanza sufficiente per atleti di specialità medio veloci (1500/300/5000 mt) a produrre gli adattamenti richiesti. Tuttora, atleti di elevata qualificazione difficilmente effettuano ripetute che superano gli 8 giri (questo per le argomentazioni riportate nei capitoli precedenti). Questo protocollo permise di migliorare in modo considerevole sia il VO2max che la capacità anaerobica dell’atleta.
Sulla base di questo protocollo vengono adottate adeguate e strutturate modifiche, messe in relazione all’età dell’atleta, al sesso e alla tipologia del carico interno che si vuole ricercare: ad esempio si possono modificare le modalità del salto, sostituito dallo Skate Jump; si possono introdurre micro pause e/o allungare il tempo totale di lavoro, esempio Tabata da 2’ pausa 2 minuti x 3 ripetizioni, maxi Tabata con estensione del tempo fino a 6 minuti.

CONCLUSIONI
Da questo lungo ed esaustivo lavoro, basato in parte sulla ricerca delle produzioni scientifiche a supporto dell’esperienza pratica dettata dalle esigenze del campo, emergono le seguenti conclusioni.
L’empirismo pratico, come abbiamo analizzato, può anticipare le rivelazioni scientifiche, a dimostrazione che atleta e allenatore del pattinaggio di velocità hanno sviluppato quella sensibilità di saper “cogliere l’attimo”.
Proprio come recita la citazione nel film “L’attimo fuggente”, fuggente come il pattinatore che sfreccia velocemente davanti all’occhio dell’allenatore, il quale deve saper cogliere le necessità dell’atleta. Necessità che, come abbiamo visto, sono di natura diversa, a volte in contrasto tra loro ma che concorrono tutte a migliorare la prestazione in gara.
L’intento che mi ero proposta consiste proprio in questo, proporre agli allenatori sia di pattinaggio di velocità, che allenatori di discipline diverse, di muovere le loro idee ampliando gli orizzonti. Non devono essere solo ed esclusivamente di natura scientifica, ma devono assecondare il movimento dell’atleta e il senso innato ed autonomo di sviluppo delle peculiari capacità tecniche, muscolari e fisiologiche.
Per concludere e meglio definire la validità di questo modello di allenamento adottato nel mio gruppo di allenamento, citerei i risultati ottenuti in gara, che hanno portato a far vincere alla sottoscritta 2 titoli mondiali nella categoria assoluta, ma soprattutto hanno contribuito a far vincere all’atleta Francesca Lollobrigida (mia sorella…):

  • 17 titoli mondiali (16 assoluti + 1 Juniores)
  • 2 Coppe del mondo di pattinaggio velocità sul ghiaccio
  • 14 podi in Coppa del mondo,
  • 2 partecipazioni alle Olimpiadi (7 posto assoluto)

A questi successi si aggiungono quelli ottenuti da tanti atleti che hanno partecipato allo stesso gruppo di lavoro, ma che negli anni, per motivazioni diverse, hanno poi intrapreso altri percorsi. Nonostante ciò hanno saputo traslare tali insegnamenti anche nelle loro esperienze di vita.

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Tesi di Laurea Corso di Studio in Scienze Motorie
“Il Pattinaggio di Velocità. Esperienze pratiche di allenamento nel pattinaggio di velocità in atleti di alto livello di qualificazione.”
Relatore: Prof.ssa Elvira Padua
Candidato: Giulia Lollobrigida
Anno Accademico 2019-2020

Benessere Sport

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