a cura di Giulio Rattazzi

PowerPower

Tutto è forza. Essa si manifesta ovunque: quando solleviamo un peso esercitiamo forza, quando ci muoviamo esprimiamo forza, lo stesso quando stiamo in equilibrio, e persino quando stiamo fermi.

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La forza è espressione di vita
Credo che non sia realmente possibile definire, classificare e misurare la forza nelle sue svariate, infinite, manifestazioni. La forza è un concetto molto complesso, non riducibile al solo ambito della fisica. Basti pensare che è generata dall’intenzione, è creazione organizzata in modo funzionale alle intenzioni del suo attore, nell’espressione della forza è custodita l’essenza della persona.
Qualcuno potrebbe chiedere “perché” affermi questo e “come” fai a dimostrarlo?
I “perché” solitamente introducono domande a cui rispondono i filosofi, i quali, però, spesso hanno difficoltà a dimostrare “come” un fenomeno avvenga; allora ci rivolgiamo alla Scienza, che può comprovare il “come”, ma fa fatica a risalire al perché.
Io credo che se realmente si vuole comprendere un fenomeno rilevante, come è nel nostro caso la forza, bisogna considerarlo nella sua complessità, risulterebbe fuorviante prendere in esame un singolo aspetto come se fosse separato da tutti gli altri.


Un aforisma Zen dice: “Per guardare un pesce bisogna osservare l’acqua”. Nel nostro caso: “Per guardare la forza bisogna osservare la vita del nostro atleta”.
In altre Parole:
«Cosa vedi in questo calice di vino rosso?» domanda un commensale al sociologo Edgar Morin. Egli risponde: «Vedo le particelle dell’atomo, vedo i nuclei dell’elio, vedo la vigna che ha prodotto quest’uva e poi il Mediterraneo, l’origine della vita e molto altro ancora. Vedo la nascita dell’universo perché vedo le particelle che si sono formate nei primi secondi. Vedo un sole antecedente il nostro poiché i nostri atomi di carbonio si sono forgiati in seno a quell’astro che è esploso. Poi quel carbonio si è legato ad altri atomi di carbonio in quella sorta di pattumiera cosmica, i cui detriti, aggregandosi, formeranno la terra. Vedo la composizione delle macromolecole che si sono assemblate per far nascere la vita. Vedo le prime cellule viventi, lo sviluppo del mondo vegetale, l’addomesticamento della vite nei Paesi mediterranei. Vedo i baccanali e i festini. Vedo la selezione dei vitigni, una cura millenaria attorno alle vigne. Vedo infine lo sviluppo della tecnica moderna che oggi permette di controllare con strumenti la temperatura della fermentazione nelle cantine. Vedo tutta la storia cosmica e umana in questo bicchiere di vino e, beninteso, anche la storia specifica del Bordolese.»
In sostanza, per comprendere bisogna essere un po’ scienziati e un po’ filosofi. Fanno parte di questa categoria le professioni nobili, tutte quelle che sono a stretto contatto con l’umano, e l’allenatore vi rientra a pieno titolo.
Antonio Damasio, neuroscienziato di fama mondiale, nell’indagare la nascita della coscienza e la percezione di sé che ne consegue, ha individuato due zone nel tronco encefalico come luogo anatomico dove si verifica la creazione di mappe delle strutture corporee, in altre parole l’area dove il corpo incontra la mente.
Soffermiamoci sulle implicazioni di questa scoperta
L’aspetto sul quale è necessario riflettere è che queste due zone si trovano magnificamente interconnesse, in uno strettissimo legame, dal quale emerge l’indissolubile rapporto tra mente e corpo, per cui non è possibile avere una mente cosciente se non esiste interazione tra corteccia cerebrale e tronco encefalico e non è possibile avere una mente cosciente se non esiste interazione tra il tronco encefalico e il corpo.
Il corpo funge, in un certo senso, da mediatore tra il cervello e la rappresentazione del mondo esterno. Tale vincolo tra mente e corpo si comporta come un processo ologrammatico ricorsivo, dove la mente influenza il corpo che a sua volta influenza la mente, così come ogni azione, ogni movimento, ogni espressione di forza del corpo porta con sé l’unicità della persona.
Ormai da diversi anni, per lavoro e per mio diletto, elaboro software e strumentazioni dedicate allo studio del movimento umano e spesso mi sono trovato a osservare tracciati di accelerazioni di test ed esercizi eseguiti da atleti. Con il tempo e l’esperienza ho imparato che da un semplice tracciato accelerometrico – come per esempio il sollevamento di un bilanciere oppure l’esecuzione di un balzo – è possibile capire molte più cose di quello che si possa pensare, al di là del semplice valore numerico di forza, accelerazione, velocità, lavoro, potenza, ecc.
Dall’analisi ripetuta delle accelerazioni, dopo un po’ si cominciano a comprendere meglio aspetti anatomico-funzionali dell’atleta, fino addirittura a coglierne, col tempo, anche dettagli caratteriali ed evolutivi.
D’altronde, questa non è una novità: da moltissimo tempo esiste uno studio, la grafologia, che si prefigge di dedurre alcune caratteristiche psicologiche e comportamentali di un individuo attraverso l’analisi della sua grafia. E cos’è la calligrafia se non una registrazione di movimento nella quale è impressa, come in un processo ologrammatico, l’immagine della persona?

Come onde sismiche, i tracciati accelerometrici riflettono peculiarità e caratteristiche uniche appartenenti esclusivamente al loro autore ed è lo stesso principio per cui un computer, pur essendo in grado di eseguire perfettamente la “Sinfonia n. 9” di Beethoven, non è in grado di trasmettere le stesse emozioni di un pianista in carne e ossa.

Insomma: dimmi come ti muovi e ti dirò chi sei.

Ed ecco che nella forza, la forza generata da un soggetto vivente, scopriamo sempre anche una componente estetica.
Balzac lo sosteneva già nel 1833 nel suo saggio “Teoria del camminare”, dove leggiamo: “[…] il movimento, oltre a velocità, accelerazione, forza, ecc., cioè oltre a quantità, esprime anche forma, stile, armonia, cioè delle qualità” (Théorie de la démarche, Honoré de Balzac, 1833).
Ma la Scienza come si pone a riguardo? È possibile misurare la qualità, è possibile misurare l’estetica del movimento? Forse no, forse questo non sarà mai possibile, tanto è vero che competizioni sportive, come la danza o la ginnastica artistica vengono valutate dall’uomo con parametri che mirano all’oggettività, ma che non possono escludere un’interferenza soggettiva dei membri della giuria.
Però, nonostante questo limite, vorrei porre l’attenzione su alcune considerazioni.
In fisica la forza è uguale alla massa per l’accelerazione. Alla luce di questi nuovi assunti la parola “massa” e la parola “accelerazione” si arricchiscono di ulteriori significati: nella massa che si muove, che accelera, che esprime forza, c’è il soggetto vivente. Quella massa esiste con la persona, perciò potremmo descrivere la forza esercitata dal vivente come l’espressione della stretta relazione tra corpo, mente e movimento.
Ma l’estetica della forza è veramente un concetto soggettivo impossibile da misurare e quantificare, oppure racchiude anche una componente oggettiva?


È opinione comune che il giudizio di bellezza sia qualcosa di soggettivo. Però conveniamo tutti col fatto che gli occhi azzurri, piuttosto che gli occhi neri, o il naso alla francese, siano generalmente molto apprezzati.
Potremmo presupporre che l’estetica conservi qualcosa di oggettivo? Quindi, forse, nell’estetica, intesa in senso lato, vi è anche oggettività?
In tal caso, nella forza muscolare, dove dimora la bellezza oggettiva?
Sempre Balzac diceva: “[…] il movimento umano consta di un’articolazione di tempi interconnessi che si confondono; se li separate nettamente si instaura infallibilmente la disarmonia e la spigolosità tipica del movimento delle bambole meccaniche”.
Io credo che la bellezza oggettiva della forza sia intrinseca alla capacità di essere funzionale al suo scopo.
Ma è possibile misurare l’estetica oggettiva della forza che in realtà si traduce e si identifica nella forza funzionale?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo chiamare in causa il concetto di efficienza, che nel nostro caso chiameremo efficienza muscolare.

Cos’è l’efficienza?
L’efficienza è la capacità di azione o di produzione, con il minimo di scarto, di spesa di risorse e di tempo impiegati. Il termine varia ampiamente, a seconda delle diverse discipline e delle diverse attività considerate.
L’efficienza può essere espressa come il risultato in percentuale rispetto a ciò che potrebbe essere il risultato ideale, ponendo questo come 100%.
Due atleti, anche gemelli, eseguendo un balzo o sollevando un bilanciere, potrebbero far registrare gli stessi valori di forza, ad esempio 1000 Newton; ma la strada per ottenere i 1000 Newton è sempre compiuta per percorsi completamente differenti, anche da uno stesso atleta in due balzi diversi eseguiti con l’obiettivo di risultare uguali.
Misurando con un accelerometro l’andamento delle accelerazioni – quindi della forza – prima di spiccare il volo durante l’esecuzione di un balzo, oppure durante il sollevamento di un bilanciere, idealmente ci dovremmo aspettare una parabola quasi perfetta, però questo non avviene mai!

Perché?
Osservando il grafico notiamo sempre delle cadute di accelerazione per poi assistere al verificarsi di riprese: si tratta, dunque, di andamenti sempre altalenanti.
Queste flessioni di accelerazione fanno perdere fluidità e funzionalità al gesto; l’esperienza mi dice che questo succede perché l’atleta ha subito, anche in tempi molto remoti, degli infortuni, oppure perché egli ha una scarsa qualità del proprio controllo. È evidente che in questi casi la forza espressa perde tantissimo del suo valore.

Ma in che modo si disperde quel potenziale di forza che ci saremmo auspicati?
Fino a oggi la forza muscolare, intesa da un punto di vista puramente fisico, è stata sempre considerata come mono-dimensionale, però noi sappiamo che il movimento è tridimensionale.

Infatti, se facciamo ricorso ad un accelerometro triassiale, oltre all’asse verticale dell’andamento della forza notiamo che vi sono anche dei movimenti latero-laterali e antero-posteriori. Secondo la fisica – anche se poi vedremo che biomeccanicamente questo non è possibile – il tracciato ipotetico di un balzo verso l’alto, preferibilmente monopodalico, oppure il tracciato accelerometrico ipotetico del sollevamento di un bilanciere, idealmente dovrebbe essere un’asse perfettamente verticale senza la presenza di alcuno scostamento latero-laterale e antero-posteriore. Cosa sono questi scostamenti? Gli scostamenti sono ciò che in fisica si definisce “rumore”.
In generale il rumore è un segnale non desiderato, di origine naturale o artificiale, che si sovrappone all’informazione trasmessa o elaborata in un sistema.
A seconda dei campi di applicazione il termine assume significati più specifici.


Insomma il rumore (nel nostro caso potremmo chiamarlo rumore muscolare) durante il gesto atletico, è la fonte di disturbo che non consente di esprimere al meglio il proprio potenziale, che fa perdere di funzionalità o meglio di efficacia – e dunque di estetica – il movimento.
Ogni atleta possiede un grande potenziale, ma spesso non riesce a esprimerlo al meglio perché limitato nella capacità del suo controllo, che si manifesta con l’insorgenza di rumore muscolare.
Vi siete mai chiesti come mai un atleta solleva un carico di pesi superiore se utilizza un bilanciere guidato da binari rispetto a quando utilizza un bilanciere libero, nonostante nel primo caso ci sia anche la componente-attrito che contrasta l’esecuzione del gesto?
Il perché sta nella capacità delle catene cinetiche impiegate di essere stabili durante i movimenti che vincono la gravità. Quando solleviamo un peso, oltre ai muscoli fasici addetti al movimento, intervengono in compensazione anche i muscoli stabilizzatori, che appunto servono a stabilizzare il corpo, per evitare che una cattiva stabilità del corpo si traduca nell’insorgenza del rumore muscolare.


La misurazione del rumore muscolare, in sostanza, si traduce nella misurazione dei piccoli spostamenti di compenso latero-laterali e anteroposteriori rispetto all’asse longitudinale, perfettamente verticale. La misurazione del rumore rappresenta un’informazione molto importante perché indica l’entità della dispersione della forza: quanto più alto sarà il valore del rumore muscolare, tanto più il nostro atleta avrà difficoltà a esprimere il proprio potenziale.

Come è possibile misurare il rumore muscolare e conseguentemente l’efficienza muscolare che ci indica la capacità di un atleta di sfruttare il suo potenziale?
Premetto che spesso le attuali strumentazioni, che si basano su accelerometri, restituiscono soltanto il valore massimo istantaneo di forza e raramente il reale valore della forza applicata per tutta l’esecuzione dell’esercizio.
Nel nostro caso parleremo del valore reale di forza applicato durante tutto l’intervallo utile per indicare meglio la capacità di estrinsecare forza da parte dell’atleta.
Abbiamo già accennato al fatto che durante l’esecuzione del movimento, ad esempio un balzo monopodalico, vi sono spostamenti latero-laterali e antero-posteriori che ne disturbano la fluidità.
Di fatto la valutazione del rumore muscolare si traduce nel calcolo dell’area – o meglio del volume di lavoro – eccedente intorno all’asse verticale ideale durante tutto il tragitto utile a esprimere forza.

Individuato il momento in cui l’atleta comincia a muoversi per eseguire il balzo monopodalico (ma lo stesso discorso vale per qualsiasi esercizio che abbia come scopo quello di vincere la forza di gravità), per tutto l’intervallo utile per svolgere l’esercizio fino a quando l’atleta non stacca i piedi da terra, si calcola, per ogni istante, sia il lavoro espresso sull’asse verticale, sia il lavoro disperso durante il gesto atletico sugli altri 2 assi.
Per effettuare queste misurazioni è possibile utilizzare attualmente il software IJumpV2Free©, realizzato dall’autore e scaricabile gratuitamente dal sito www.demotu.it.

Dal momento in cui l’atleta comincia a eseguire l’esercizio:
– Per ogni accelerazione utile in G (in cui viene espressa la forza finalizzata all’esecuzione dell’esercizio) si moltiplica il valore accelerometrico di ciascun asse per 9,81, per ottenere il valore in m/s2 .
– Per conoscere la velocità per ogni istante si prende Il valore accelerometrico appena calcolato in m/s2, lo si moltiplica per il tempo di frequenza dello strumento, che nel nostro caso è 0,01 secondi. Considerando che la frequenza dello strumento è di 100 Hz, significa che ogni valore viene restituito per ogni centesimo di secondo. Ogni valore calcolato viene sommato al precedente.
– Su ogni asse, per calcolare lo spazio percorso per ogni istante, nell’esempio 0,01 sec (1 centesimo di secondo), applichiamo la formula del moto uniformemente accelerato: V*t + ½ at2 . È importante che i valori istantanei siano calcolati in forma assoluta perché il nostro scopo sarà quello di conoscere il lavoro realmente eseguito.
Per ogni asse calcoliamo la forza istantanea in forma assoluta, che è uguale all’accelerazione istantanea per la massa del soggetto. Calcoliamo il lavoro istantaneo per ciascun asse x, y, z per ottenere il valore del lavoro per ogni istante. Moltiplichiamo la forza di ciascun record per il valore dello spazio istantaneo corrispondente a quello specifico record.
Infine, per ogni asse sommiamo tutti i valori istantanei del lavoro per ottenere il lavoro ad essi relativo dell’esercizio eseguito.
A questo punto avremo calcolato:
– Il lavoro totale sull’asse Y, che ho identificato come asse longitudinale
– Il lavoro totale sull’asse X, che ho identificato come asse trasversale
– Il lavoro totale sull’asse Z, che ho identificato come asse sagittale dei movimenti
Quindi, il rumore muscolare corrisponde al lavoro compiuto sia sull’asse X latero-laterale e sia sull’asse Z antero-posteriore.


È evidente che, ragionando secondo una traiettoria ideale, il tragitto percorso dovrebbe tracciare una linea perfettamente longitudinale senza scostamenti sugli altri 2 assi: per questo motivo il lavoro dell’asse X e il lavoro dell’asse Z dovrebbero essere entrambi pari a 0. Sappiamo che, in linea di principio, questo non sarà mai possibile, perché l’organismo umano, biomeccanicamente parlando, non è in grado di compiere un tracciato in linea perfettamente retta.
Infine, con tutti i dati che abbiamo a disposizione possiamo calcolare l’indice di forza efficiente, che corrisponde alla capacità di un atleta di saper esprimere il proprio potenziale di forza durante un balzo oppure durante il sollevamento di un peso con il bilanciere.

La formula finale di calcolo dell’indice di forza efficiente (ideata insieme all’ingegner Marco Zambotto del Politecnico di Torino) sarà data dal lavoro sull’asse longitudinale diviso il lavoro sull’asse lungitudinale + i valori del lavoro corrispondente agli altri 2 assi, il tutto moltiplicato per 100:

IFE=Ly/(Ly+Lx+LZ) *100
IFE = indice di forza efficiente
Ly = Lavoro espresso sull’asse longitudinale
Lx = Lavoro espresso sull’asse x, trasversale
Lz = Lavoro espesso sull’asse z, sagittale

Se teoricamente il lavoro degli assi di disturbo sarà uguale a 0, significherà che il nostro atleta sarà capace di esprimere il proprio potenziale al 100%. Quindi quanto maggiore sarà l’indice di forza efficiente in percentuale, tanto sarà maggiore la capacità da parte dell’atleta di esprimere il proprio potenziale.
Non dimentichiamo che questi calcoli si basano su un modello di perfezione del movimento sul piano longitudinale che, come abbiamo detto, non è biomeccanicamente possibile. Un modello biomeccanico unico che, in parole più semplici si può definire tecnica di esecuzione.
Ma ogni individuo è “un unico e irripetibile che si muove in modo sempre differente”, come sosteneva lo scienziato Nikolaj Bernstejin.

Non possiamo pensare di rispettare senza eccezione le simmetrie del gesto, l’organismo persegue sempre l’adeguamento migliore possibile a una complessità di problematiche.
Ogni persona avrà un suo andamento ideale che cambia, si adatta e si riorganizza di volta in volta, a seconda di una miriade di circostanze imprevedibili, per questo la sfida finale sarà quella di costruire un sistema che possa tener conto del movimento individualizzato, individuale del nostro atleta in quel determinato istante.
In ogni caso è chiaro che, conoscendo l’attuale indice di efficienza muscolare, per cercare di ridurre il rumore muscolare otterremo come risultato movimenti molto più economici; quindi sarà possibile migliorare la forza muscolare evitando di aumentare l’entità dei sovraccarichi che, spesso possono comportare un concreto rischio di infortuni.
Per questo motivo, ritornando al caso dei due diversi atleti, essi possono far registrare 2 valori di forza identici, ma indici di forza efficiente completamente differenti: da questo punto di vista l’atleta con un rumore muscolare superiore risulterà meno abile a controllare il movimento, anche se, potenzialmente, potrebbe essere più “forte” dell’altro.

Invece migliorando il suo controllo, con la riduzione del rumore muscolare attraverso opportune esercitazioni, potrebbe trovarsi nella situazione e nella capacità di esprimere maggiori livelli di forza.

Bibliografia

  1. Suzuki, Shunryu: Mente Zen – Mente di Principiante – Astrolabio Ubaldini Edizioni, 1977
  2. Morin, Edgar: Metodo Vol.1, La Natura della Natura – Milano, Raffaello Cortina Edizioni, 2001
  3. Damasio, Antonio R.: Il sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente – Milano, Adelphi, 2012
  4. Balzac, Honoré De: Théorie de la démarche humaine – Paris, 1833
  5. Bellotti Pasquale, Zanon Sergio: Il movimento dell’uomo. Storia di un concetto – Torgiano Pg, Calzetti-Mariucci, 2008, pp. 58-65.

Sitografia

  1. Damasio, Antonio R.: Comprendere la coscienza www.youtube.it, TedItalia, 2012,http://www.youtube.com/watch?v=mraK3EwczHE
  2. Wikipedia, l’enciclopedia libera: Efficienza http://it.wikipedia.org, 2011, http://it.wikipedia.org/wiki/Efficienza
  3. Wikipedia, l’enciclopedia libera: Rumorehttp://it.wikipedia.org, 2013, http://it.wikipedia.org/wiki/Rumore
  4. Bernstejin, Nikolaj: Il problema dell’interrelazione tra coordinazione e localizzazione – Arch. Biol. Nauk, 38, 1935

Materiale fornito ai corsi universitari della Facoltà di Scienze Motorie http://www.demotu.it/wordpress/il-movimento-e-complesso-e-complesso-luomo/di Torino per la materia d’insegnamento Filosofia Morale, Prof. Dott. Pasquale Bellotti) – Scaricabile alla pagina web:
http://www.demotu.it/wordpress/il-movimento-e-complesso-e-complesso-luomo/

Note:
Giulio Rattazzi, IJumpV2Free©, (SIAE) Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, numero progressivo: 008344, ordinativo: D007543, 03-04-2012, ottenibile dal sito web: www.demotu.it
Marco Zambotto – Ingegnere Elettronico e Dottore di Ricerca in Ingegneria Elettronica e delle Comunicazioni – Attualmente impegnato in attività di progetto e formazione tecnico – scientifica. Link al sito: www.gammatemp.com

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