Gian Nicola Bisciotti
Abstract
La protesizzazione di ginocchio è purtroppo un’evenienza che può interessare lo sportivo master affetto da osteoartrosi primaria o secondaria cambiandone drasticamente lo stile di vita. Tuttavia, se sino agli anni ’90 la protesizzazione dell’articolazione del ginocchio significava l’abbandono di qualsiasi attività sportiva, oggi le nuove tecnologie protesiche, unitamente alle attuali tecniche operatorie permettono al paziente una, anche se cauta e controllata, ripresa dell’attività fisica.
In questo scritto prenderemo in esame le contoindicazioni relative ed assolute in relazione alle varie discipline sportive dopo impianto di protesi totale o monocompartimentale di ginocchio.
Parole chiave: gonartrosi, protesi totale, protesi monocompartimentale, attività sportiva.
L’indicazione alla protesi di ginocchio negli anni ’80 e ’90 era essenzialmente basata sulla sintomatologia algica, in altre parole l’impianto di una protesi aveva come precipuo scopo la riduzione della sensazione algica sofferta dal paziente in seguito alla grave gonartrosi di cui era portatore. All’epoca praticamente nessun chirurgo ortopedico consigliava al paziente il ritorno all’attività sportiva (Lo Presti, 2011) ed il paziente era totalmente soddisfatto se riusciva ad ottenere una flessione di circa 100° ed a camminare per lunghe distanze (Perrone, 2011).
Già all’inizio del terzo millennio le richieste del paziente erano cambiate, oltre all’ovvia richiesta della risoluzione della sintomatologia dolorosa, si pretendeva il ritorno ad una soddisfacente funzionalità articolare. Oggi le richieste del paziente sono nuovamente aumentate, al di là della risoluzione del dolore e del ripristino della piena funzionalità articolare, viene posta, con sempre maggior frequenza, la richiesta del ritorno all’attività sportiva. Molto spesso tale richiesta riguarda lo stesso sport praticato in precedenza e l’aspirazione, ovviamente, è quella di ritornare, se non allo stesso livello di pratica, o perlomeno al raggiungimento di una condizione simile. Ma questa rappresenta un’aspirazione plausibile, o meglio, in quali termini è ragionevole poter pensare che lo sia? Vediamo in questa nostra breve e semplice disamina di poter dare un’onesta ed obiettiva risposta alle aspettative di chi, costretto alla protesizzazione, non vuole comunque rinunciare alla pratica sportiva.
La sostituzione protesica del ginocchio trova la sua indicazione in tutti i tipi di gonartrosi, primarie e secondarie, nel momento in cui il trattamento di tipo conservativo – basato su FKT, adattamento dell’attività funzionale, terapie mediche come infiltrazioni intra-articolari di acido ialuronico, riequilibrio posturale ecc. – non riesce più a controllare la sintomatologia algica del paziente e la funzionalità dell’articolazione è seriamente ed irrimediabilmente compromessa. Ma non solo le gonartrosi possono richiedere la realizzazione di un impianto protesico, molto spesso anche le artriti, in special modo l’artrite reumatoide e la condrocalcinosi, nel caso in cui l’articolazione sia danneggiata in modo irreversibile, possono richiedere un intervento di protesizzazione.
Attualmente esistono sul mercato numerosi tipi di protesi: monocompartimentali, bicompartimentali, tricompartimentali … ma per ciò che riguarda la possibilità di ritorno ad una attività sportiva inizieremo con il prendere in considerazione il tipo di protesi che, ad oggi, sembra in grado di consentire maggiormente tale obiettivo, ossia quella monocompartimentale.
La protesi monocompartimentale (PM) rappresenta la scelta d’elezione per ginocchia che presentino un danno che sia limitato ad un solo compartimento articolare (L’articolazione del ginocchio è composta da tre compartimenti articolari: mediale, laterale e femoro rotuleo), molto più frequentemente rappresentato da quello mediale. L’indicazione di una PM, oltre all’ovvia indicazione di artrosi monocompartimentale, è legata ad almeno altri quattro fattori (Bertani e coll., 2008; Schindler e coll., 2010):
1. Un Body Mass Index del paziente nella norma (in altre parole il paziente deve essere normopeso)
2. Debbono essere riscontrabili solo lievi deviazioni assiali
3. Il ginocchio deve presentare un buon range di mobilità articolare
4. L’articolazione deve presentare una buona stabilità legamentosa
I vantaggi connessi all’impianto di una PM possono essere così schematicamente riassunti (Bertani e coll., 2008; O’Donnell e coll., 2010; Pandit e coll., 2011):
Per ciò che concerne invece gli svantaggi connessi all’impianto di una PM possiamo schematicamente ricordare:
Da un punto di vista cinematico la PM si avvicina molto di più, rispetto ad una protesi totale, alla cinematica osservabile in un ginocchio sano, questo fondamentalmente grazie al fatto che entrambi i legamenti crociati vengono conservati. L’impianto di una PM consente quindi una totale flessione del ginocchio, altrimenti difficile con l’impianto di una protesi totale, garantendo in tal modo un fisiologico meccanismo di roll back. Soprattutto i moderni impianti di navigazione computerizzata hanno permesso di verificare come la cinematica di un ginocchio che abbia subito l’impianto di una PM sia veramente molto simile a quella di un ginocchio non protesizzato, con minime variazione sui gradi di estrema flessione e nell’ambito dei meccanismi di rotazione.
La PM ha una percentuale di sopravvivenza di circa il 90% ad un follow up medio di dieci anni (Mariani e coll., 2007; O’Donnell e coll., 2010; Pearse e coll., 2010; Chou e coll., 2011; Lisowski e coll., 2011; Pandit e coll., 2011) e l’eventuale ritorno ad un’attività sportiva è programmabile dopo circa 6 mesi dall’impianto protesico.
La prima legittima domanda che possiamo porci è: l’impianto di una PM rappresenta una sorta di “intervento ponte”? In altre parole, l’impianto di una PM è solo il preludio temporaneo all’impianto di una protesi totale? La risposta è verosimilmente negativa, a patto che il paziente rispetti una perfetta compliance post-operatoria e che, ovviamente, vi sia stata in tal senso una corretta indicazione. Se queste indicazioni vengono rispettate non vi è dubbio che l’impianto di una PM divenga un intervento che rappresenta una valida risposta al problema artrosico del paziente sul lungo periodo.
Per cui il concetto che prevede l’impianto di un PM al solo scopo di correggere la deformità articolare e diminuire il dolore, rappresenta ormai un concetto superato in favore dell’assunto che vede l’impianto di una PM come una valida strategia per poter permette al paziente la ripresa di un’attività sportiva che deve comunque attenersi a indicazioni e limitazioni ben precise.
I rischi sono una precoce usura del polietilene ed una precoce mobilità delle componenti protesiche, oltre alla possibilità d’incorrere in tutti i fattori di ordine traumatico connessi alla pratica di un’attività sportiva, soprattutto se quest’ultima rientra nelle attività sportive di “contatto”, che comunque, come vedremo più avanti, rimangono sconsigliate per il paziente protesizzato.
Anche nell’ambito dell’artrosi femoro rotulea, un protesi monocompartimentale di tipo “Hemi CAPÒ”, che copre la sola zona trocleare, ossia l’area maggiormente responsabile della sintomatologia algica lamentata dal paziente (Lelli, 2011), rappresenta una valida soluzione chirurgica (Becher e coll., 2008; Maduekwe e coll., 2010).
Affrontiamo ora la problematica inerente l’impianto di una protesi totale. La protesizzazione totale (PT) è indubbiamente un tipo d’intervento molto diverso rispetto all’impianto di una PM (Long e Scudieri, 2008). In effetti una PT rappresenta, di per sé, un intervento definitivo che deve rispettare molteplici indicazioni (Gadeyne e coll., 2008;: Laskin, 2008; Patil e coll., 2010), tra le quali possiamo ricordare:
Purtroppo dobbiamo ricordare come una PT di ginocchio lasci talvolta delle importanti sequele sul paziente sia di tipo algico, che funzionale (Bergschmidt e coll., 2008; Lelli, 2011). Un numero abbastanza consistente di pazienti, quantificabile in circa il 20%, non rimane totalmente soddisfatto dopo l’impianto di PT. Le principali cause d’insoddisfazione sono rappresentate per un 10% circa da uno scarso range articolare e per una percentuale compresa tra il 5 ed il 10% da una sintomatologia dolorosa anteriore (Robertsson e coll., 2000).
Esistono moltissimi tipi di PT: a menischi mobili, a menischi fissi, a conservazione oppure senza conservazione del LCP, vincolate o non vincolate, ultracongruenti, solamente per citarne alcune. Al di là di questo, l’aspetto che riveste probabilmente l’importanza maggiore è rappresentato da una corretta ed obiettiva valutazione della richiesta funzionale del paziente, basata sulla sua attività lavorativa e sulle sue aspettative funzionali, ivi comprese quelle di tipo sportivo-ricreativo. Occorre quindi analizzare accuratamente il tipo e la quantità della richiesta funzionale alla quale l’articolazione del ginocchio verrà sottoposta, senza omettere alcuni dettagli tecnici di estrema importanza come ad esempio l’angolo di flessione maggiormente ricorrente durante la vita lavorativa e/o ricreazionale a cui l’impianto protesico verrà sottoposto.
Le problematiche che potremmo definire come “storiche” riguardanti l’impianto di una PT sono sostanzialmente riconducibili ai seguenti punti (Patil e coll., 2010; Watanabe e coll., 2009):
Pertanto, il successo nell’impianto di artroprotesi di ginocchio dipende sostanzialmente da una corretta selezione del paziente, dal design dell’impianto scelto ed ovviamente dalla tecnica chirurgica appropriata. Su quest’ultimo punto non a caso (a mo’ di battuta, ma forse poi nemmeno tanto) possiamo dire che “in chirurgia la variabile più importante è rappresentata dal chirurgo stesso”.
Inoltre, non si può prescindere da una corretta informazione del paziente. La tecnica chirurgica protesica si è molto evoluta negli ultimi anni, soprattutto per ciò che riguarda lo strumentario e le curve di apprendimento, senza dimenticare l’importante apporto rappresentato dalle tecniche di navigazione. Alcuni tipi di protesi ad esempio hanno aumentato l’inclinazione della flangia anteriore in modo tale da consentire una maggiore flessione del ginocchio, altre hanno modificato il design del condilo posteriore, altre ancora presentano un asimmetria dei condili posteriori, oppure hanno modificato l’assetto della gola trocleare allo scopo di migliorare il traking femoro-rotuleo, infine alcuni tipi di protesi sono equipaggiate con uno strumentario che in sede operatoria permette la regolazione sia dell’intra che dell’extra rotazione, consentendo in tal modo una maggior precisione dell’impianto in rapporto alla linea epicondilare.
Un’altra interessante innovazione tecnica nel campo della protesica del ginocchio è rappresentata dalle protesi a piattaforma rotante che ottimizzano il contatto delle parti protesiche durante i movimenti di rotazione e che mantengono la conformità necessaria a mantenere un contatto ottimale sino a 150° di flessione attiva. Ma il futuro della protesizzazione prevede anche l’attuazione di protesi costruite specificatamente sulle caratteristiche anatomiche del paziente.
Una casa costruttrice Americana, la ConforMis con sede a Burlington, ha infatti iniziato ad utilizzare una particolare tecnologia in grado di trasformare le immagini acquisite con scansioni TC od RM in un modello computerizzato tridimensionale su cui si baserà la creazione della protesi stessa.
E’ importante ricordare come l’impianto di PT su di un ginocchio valgo presenti un’indubbia maggior complessità rispetto alla protesizzazione di un ginocchio varo o normoallineato (Martucci e coll., 2011). In effetti, il ginocchio valgo presenta delle importanti differenze rispetto a quello varo sia dal punto di vista clinico, che da quello anatomo-funzionale. Infatti, mentre la deformità anatomica del ginocchio in varismo origina prevalentemente a livello dell’emipiatto tibiale mediale – il quale presenta appunto un’inclinazione in varo, mentre la superficie articolare a livello femorale presenta un valgo normalmente compreso tra i 5° ed i 9° – la deformità anatomica del ginocchio valgo è prevalentemente di tipo femorale.
In quest’ultimo caso, infatti, la superficie tibiale presenta un allineamento neutro od al massimo compreso tra i 2° ed i 3° di varismo, mentre la superficie femorale mostra un importante deformazione in valgo legata all’ipoplasia del condilo laterale. Il peggioramento della deformità in valgo causa l’indebolimento progressivo del compartimento capsulo-legamentoso mediale, oltre a ciò non è infrequente il verificarsi di erosioni a livello della parte centrale dell’emipiatto piatto tibiale laterale da parte dell’omonimo condilo femorale, meccanismo che causa un difetto osseo di tipo “contenuto” essendo risparmiate le zone periferiche dell’emipiatto tibiale (Martucci e coll., 2011).
E’ oramai universalmente noto il gran numero di benefici, in senso salutistico generale, connessi alla pratica costante di un’attività sportiva, sebbene siano stati anche prodotti degli studi che dimostrano l’aumento dell’incidenza dell’osteoartrosi in atleti paragonati a sedentari (Kujala et al, 1995; Spector e coll, 1996), per cui anche nel paziente protesizzato la ripresa di un’attività sportiva e /o ricreativa costituisce sempre un non trascurabile valore aggiunto.
Tuttavia, i pazienti spesso sottostimano i possibili problemi correlati alla sostituzione protesica di una articolazione e sovrastimano le aspettative di recupero. Tali aspettative sono create da noti dati di eccellenti risultati clinici, dal marketing ortopedico, dal marketing diretto ai pazienti, da informazione e disinformazione reperibili su Internet. E’ comunque innegabile che gli interventi protesici consentano ai pazienti con patologia degenerativa articolare d’incrementare la loro attività fisica.
In effetti, i pazienti con maggiori disabilità prima dell’intervento presentano, in linea generale, il grado maggiore di miglioramento. Inoltre, dopo intervento protesico d’anca e di ginocchio è stato dimostrato un miglioramento nel fitness cardiologico misurato come durata dell’ esercizio, massimo carico di lavoro e picco di consumo di ossigeno (Ries et al, 1996).
Tuttavia, non possiamo ignorare i rischi connessi alla ripresa di un’attività sportiva dopo aver subito un impianto protesico che, schematicamente, possono essere ricondotti a (Rolston e coll., 2009; Lygre e coll., 2010):
In funzione di questo esistono tre possibili categorie di attività sportive per i pazienti protesizzati che intendano riavvicinarsi allo sport (Niederle e coll., 2007; D’Lima e coll., 2008; Hopper e coll., 2008; Wylde e coll., 2008; Felts e coll., 2010; McClelland e coll., 2010; Papalia e coll., 2011):
Le attività sportive raccomandate
In questa categoria, sia per la PT che per la PM (ed in special modo per quest’ultima) ritroviamo:
Queste attività dovrebbero essere incoraggiate in tutti i pazienti, soprattutto considerando il loro impatto positivo sulla salute e sul benessere generale del paziente stesso.
Le attività sportive raccomandate solo ai soggetti già esperti
In questa categoria ritroviamo tutti quegli sport raccomandabili / consentibili solamente a soggetti che abbiano già avuto modo di accumulare precedentemente una buona pratica delle attività stesse (e che siano quindi classificabili come “esperti” nella pratica di queste ultime) e che inoltre presentino un’ottima forma fisica. In quest’ambito ritroviamo:
Le attività sportive sconsigliate
In quest’ultima categoria ritroviamo sostanzialmente tutti gli sport ad alto impatto e/o “di contrasto” che possono danneggiare le componenti protesiche compromettendone la funzionalità, ricordiamo brevemente tra queste:
Occorre comunque sottolineare che le linee guida attualmente disponibili non sono basate su delle evidenze scientifiche ma solamente su delle opinioni di esperti. Riteniamo a questo proposito particolarmente interessanti i risultati del questionario sull’attività sportiva post protesizzazione di ginocchio a cui sono stati sottoposti alcuni membri della American Knee Society nel 1999 e nel 2005. Paragonando i pareri forniti nel 1999 a quelli del 2005, si è potuta notare una maggior tendenza nella concessione ai pazienti alla partecipazione ad un maggior numero di attività sportive nel 2005 ed una minor restrizione su alcune specifiche attività. Mentre quattro sport non erano raccomandati in entrambi gli anni (calcio, basket, football e corsa), altre attività sportive (baseball, ginnastica, pallamano, hockey, arrampicata, squash e tennis singolo) che non erano raccomandate nel 1999 non hanno comunque raggiunto un consensus nel 2005. Nel 2007 poi si è registrato un ulteriore aumento del trend di concessione di attività sportive, trend che gli esperti giustificano con un miglioramento dell’outcome, una migliore confidenza nella tecnica chirurgica, un’innovazione degli impianti protesici ed infine una maggiore richiesta da parte dei pazienti stessi di partecipazione ad attività sportive. E’ necessario comunque ricordare ancora una volta come questo trend non sia basato su “evidenze” ma solo su opinioni di esperti e come pertanto non sia dimostrabile che il trend stesso sia concepito esclusivamente in funzione del migliore interesse del paziente.
Possiamo concludere che in linea generale lo sport non è sbarrativamente precluso al soggetto portatore di protesi di ginocchio (sia totale ma ancor più monocompartimentale) ma è tuttavia innegabile che una protesizzazione consenta solamente la pratica di alcune e ben determinate attività sportive. Per questa ragione, non solo il paziente deve necessariamente essere correttamente consigliato ed indirizzato, ma si rivela di ancor maggior importanza che egli agisca “cum granum salis” e tenti di riprendere l’attività sportiva solamente dopo aver affrontato un corretto percorso riabilitativo ed un altrettanto cauto e progressivo percorso di riavvicinamento alla pratica sportiva stessa.
Bisogna comunque precisare che le continue innovazioni in campo protesico, sia a livello dei materiali utilizzati, che delle tecniche chirurgiche adottate, stanno permettendo ad una sempre più alta percentuale di pazienti protesizzati la pratica sportiva, ampliando inoltre la gamma di attività sportive praticabili. Infine occorre sottolineare che la letteratura riguardante la pratica sportiva dopo intervento di protesizzazione non è esaustiva, infatti, essendo disponibili solo studi retrospettivi di livello III o IV, mancano ancora ad oggi studi di alta qualità , con follow-up di lunghezza adeguata e basati su evidenze scientifiche.
Gian Nicola Bisciotti
Physiologist Lead c/o Qatar Orthopaedic and Sport Medicine Hospital, FIFA Center, Doha (Q).
Senior Coordinator Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, Parma, La Spezia (I)
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