L’ATTIVITÀ FISICA NELLA PREVENZIONE DELL’OSTEOPOROSI

A cura di Luca Corona
Al giorno d’oggi un importante fattore di prevenzione per l’osteoporosi appare essere l’attività fisica.
Vi è una stretta correlazione tra le sollecitazioni meccaniche imposte dal movimento controgravitario e il rimodellamento osseo (con adattamento strutturale sia all’interno che sulla superficie della struttura).
Infatti si è osservato in differenti studi che l’esercizio fisico incide positivamente sull’omeostasi di RANK, RANKL e OPG, influenzando la differenziazione osteoclastica. Il RANKL è una proteina che viene a trovarsi sulla superficie degli osteoblasti sotto lo stimolo del paratormone (PTH), mentre il RANK è il recettore specifico posseduto dai monociti, che verranno coinvolti poi nella differenziazione degli osteoclasti.
Per ovviare ad una eccessiva produzione di questi, gli osteoblasti secernono l’OPG, un secondo recettore che va a legarsi anch’esso con il RANKL, andando a contrastare l’interazione con il suo recettore specifico. E’ stato evidenziato inoltre come questo effetto venga favorito in misura maggiore da allenamenti ad “alto impatto” rispetto a quelli di minore intensità.
Da aggiungere inoltre che un’attività fisica esasperata, soprattutto per le donne, può provocare uno stress sistemico che porta ad una alterazione dell’equilibrio tra la calcemia e il paratormone (PTH), con effetti negativi per il tessuto osseo.
Risulta quindi fondamentale che la stesura di un protocollo di attività fisica per un soggetto affetto da osteoporosi sia quanto più possibile individualizzata e adattata alle condizioni del soggetto, sulla base cioè di età, sesso, stato della malattia, varie patologie associate.
Quindi gli stimoli meccanici giocano un ruolo fondamentale nel determinare forma, dimensioni e micro architettura dell’apparato scheletrico, sia durante la fase di accrescimento, sia per quanto riguarda il mantenimento della massa ossea nell’adulto.
Possiamo quindi dire che il ruolo di un programma di esercizio terapeutico ha lo scopo di diminuire le complicanze legate all’immobilità ed inoltre prevenire esiti di frattura secondari a cadute, tramite la creazione di programmi composti da esercizi terapeutici specifici.
Biomeccanica dell’osso
Per svolgere le sue funzioni, l’apparato scheletrico deve possedere alcune caratteristiche fondamentali:
• Rigidità per sostenere il carico cosi da permettere il movimento.
• Flessibilità permettendo cosi a questo di sopportare in modo elastico resistenze esterne senza esiti di frattura.
• Resistenza e leggerezza cosi da sostenere il carico esterno e permettere il movimento del corpo.
Nelle ossa lunghe saranno preferibili resistenza e leggerezza, mentre nelle vertebre sarà fondamentale avere una certa flessibilità in modo da evitare lesioni grazie alla struttura trabecolare.
Per parlare di carico esterno applicato ad una porzione ossea è necessario introdurre i concetti di stress e strain.
Applicando una resistenza esterna non si ottiene solo la modifica della forma dell’osso, ma in esso si sviluppa una forza interna fondamentale per controbilanciare la resistenza. Questa forza è chiamata “stress“.
Lo stress è distribuito sull’intera superficie di una sezione di un osso, ed è definito come forza per unità di area. A seconda delle resistenze esterne possiamo distinguere poi diversi tipi di stress in cui incorrerà l’osso: piegamento, tensione, torsione, compressione.
Per “strain” si intende la deformazione che subisce l’osso quando viene applicata una qualunque resistenza. Viene espresso come la differenza della lunghezza di un osso dopo l’applicazione della forza e la sua lunghezza a riposo e viene indicato con un numero puro espresso in percentuale. Per le forze di compressione tale valore è quasi sempre inferiore allo 0,002%. Un unità strain equivale ad una deformazione corrispondente allo 0,1%.
Il rapporto tra stress e strain rappresenta lo strenght, cioè la resistenza dell’osso, che viene rappresentato in una curva (Fig.1). Per carichi non troppo elevati vi è una proporzione lineare tra le due variabili, che fornisce una misura della rigidità dell’osso, detta stiffness, calcolata dal rapporto tra stress e strain in ogni punto della curva. La deformazione data dai carichi leggeri è unicamente di tipo elastico, in assenza del carico quindi l’osso ritorna alle dimensioni originali.
Il punto della curva che segna la fine della proporzionalità corrisponde al limite elastico dell’osso (yield point), oltre il quale viene a manifestarsi una deformazione permanente (plasticità).
A seconda della regione analizzata possiamo trovare ossa molto elastiche, ma che una volta superato il proprio limite si fratturano facilmente e viceversa. Un “ultimate stress” è il punto oltre il quale l’osso si frattura, il termine “ultimate strain” invece descrive la deformazione corrispondente allo stress applicato. L’area sotto la curva rappresenta l’energia che può essere immagazzinata dall’osso prima della frattura.
Si può intuire che lo strain può causare una risposta di adattamento da parte dell’osso, ma è necessario che questo sia abbastanza elevato, tra le 2000 e le 3000 unità strain. Il tutto viene descritto dalla “teoria della meccano-statica di Frost”, secondo la quale lo scheletro reagisce al carico secondo il livello di strain prodotto. Cosi se lo stress produce una deformazione maggiore alle 2000 unità, l’adattamento comporta la produzione di osso periostale in modo da resistere meglio a tale stress.
I tre fattori che modificano maggiormente il metabolismo osseo sono:
- L’entità dello strain
- La velocità dello strain
- La distribuzione dello strain
L’ipomobilità però, corrispondente ad un’assenza dello stress, porta l’osso ad un adattamento contrario, causando l’espansione del canale midollare e limitandone la resistenza. Gli estrogeni rappresentano il fulcro tra stress e adattamento metabolico, stimolando l’attività osteoblastica.
Fattori che portano all’aumento della densità minerale
Le dinamiche che influenzano i processi di adattamento dell’osso agli stimoli ambientali, cioè quelli dati dall’esercizio fisico, dipendono da due variabili: la frequenza, cioè il numero di sedute settimanali, e l’intensità, cioè la quantità di carico utilizzato. Queste poi vanno poste in stretto legame con i fattori ormonali e nutrizionali.
Anche se la sola attività aerobica “controgravitaria” provoca uno strain sufficientemente elevato per produrre un effetto sul metabolismo osseo, è lo “strength training” o allenamento della forza che soddisfa maggiormente i requisiti per avviare un elevato stimolo di adattamento.
Un protocollo di allenamento basato sui sovraccarichi associato all’attività aerobica, favorisce l’incremento del picco di massa ossea e previene quindi il decremento della densità minerale, che avviene con l’incedere dell’età o per cause secondarie (celiachia, utilizzo di cortisonici, ipomobilità …).
Uno studio effettuato da Chow et al (1986) divideva 58 donne in tre gruppi: uno di controllo, uno praticante danza aerobica ed uno che integrava alla danza aerobica un lavoro con sovraccarichi, utilizzando pesi liberi. Dopo un anno è stato verificato un maggior incremento di massa ossea (BMD) nel gruppo di donne che svolgevano un lavoro “combinato”, un incremento modesto nella sola danza aerobica e un lieve decremento nel gruppo di controllo.
Si può concludere quindi che l’allenamento con i sovraccarichi, combinato con sedute prettamente di natura aerobica, favorisce un incremento della BMD ed in particolare lo strenght training incide positivamente su tutte le qualità dello strain.
Fattori ormonali
Un programma di allenamento che possieda un adeguata intensità stimola il rilascio di ormoni “anabolici”, fra i quali testosterone e ormone della crescita (GH). Il rapporto testosterone/cortisolo riflette lo stato di anabolismo o catabolismo in cui l’organismo viene a trovarsi.
Esercizi contro resistenza programmati con criterio partecipano all’aumento di tale rapporto, provocando l’incremento della massa magra nel suo complesso, incluso il tessuto connettivo. Allenamenti che possiedono un volume eccessivamente elevato sono associati ad un decremento della densità minerale associato a bassi livelli di testosterone ed estrogeni.
Testosterone, GH, IGF-1, minerali e vitamine hanno una correlazione positiva con la densità minerale ossea e i primi tre possono essere stimolati attraverso l’esercizio fisico.
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Luca Corona
Dottore in Scienze delle Attività Motorie e Sportive.
E-mail: corluca@hotmail.com
Blog: http://cormotion.wordpress.com
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