PIEDE E POSTURA: UN LEGAME INSCINDIBILE

Giovanni Chetta
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Il piede rappresenta il punto fisso al suolo su cui grava l’intero peso del corpo. Esso si trova alla base del sistema di controllo antigravitario (sistema tonico posturale) che consente all’uomo di assumere la postura eretta e di spostarsi nello spazio. Il piede è sia un effettore sia un ricettore ossia riceve ed esegue dei comandi (risposta motoria), tramite i muscoli, e, nel contempo, interagisce col resto del corpo fornendo costanti informazioni provenienti dagli esterocettori cutanei presenti sulla sua pianta e dai propriocettori dei suoi muscoli, fascia, tendini e articolazioni. Gli esterocettori cutanei del piede sono ad alta sensibilità (0.3 g) e rappresentano l’interfaccia costante tra l’ambiente e il sistema dell’equilibrio. Le informazioni plantari infatti sono le uniche a derivare da un recettore fisso a diretto contatto col suolo.
Il piede, nel corso dell’evoluzione, per le esigenze sorte nell’assunzione della stazione eretta e della deambulazione bipodale, risulta un diaframma atto ad (FIG. 1) assorbire e smistare le forze esterne (ambientali) e interne (muscolari), relativamente agli infiniti piani dello spazio.
Fig. 1
La struttura del piede è un capolavoro unico di architettura, o meglio di biomeccanica, con le sue 26 ossa, 33 articolazioni e 20 muscoli. Funzionalmente e strutturalmente, è possibile suddividere il piede in:
– retropiede formato da astragalo (talus) e calcagno, “dispositivo centrale” del controllo biomeccanico della gravità;
– avampiede formato da scafoide (navicolare), cuboide, 3 cuneiformi (definiti anche mesopiede; il mesopiede più il retropiede forma il tarso), 5 raggi metatarsali (metatarso) e le falangi delle 5 dita; funge da “adattatore e reattore”.
Il piede, nel suo ruolo di “base antigravitaria”, in un primo tempo prende contatto con la superficie di appoggio adattandosi ad essa rilasciandosi, successivamente si irrigidisce, divenendo una leva per “respingere” la superficie stessa. Il piede deve quindi alternare la condizione di rilasciamento con la condizione di irrigidimento. L’alternanza di lassità-rigidità giustifica l’analogia con l’elica a passo variabile. Retropiede e avampiede si dispongono infatti in piani che si intersecano in modo variabile. Nella condizione ideale, il retropiede è disposto verticalmente e l’avampiede orizzontalmente (su una superficie di appoggio orizzontale). A piede sotto carico la torsione tra retropiede e avampiede si attenua nel rilassamento (il piede diviene una piattaforma modellabile) e si accentua nell’irrigidimento (il piede diviene una leva). La disposizione ad arco è in realtà apparente essendo espressione del grado di avvolgimento dell’elica podalica. Il piede quindi non ha il significato di un arco o volta reale ma apparente, che si alza durante l’avvolgimento e si abbassa durante lo svolgimento dell’elica. L’avvolgimento dell’elica, con la conseguente accentuazione dell’apparente disposizione ad arco, corrisponde al suo irrigidimento. Lo svolgimento dell’elica, con conseguente attenuazione dell’arco apparente, è il rilasciamento.
La torsione, l’avvolgimento, dell’elica podalica è connessa alla rotazione esterna dei segmenti sovrapodalici (gamba e femore). L’astragalo ruotando all’esterno solidalmente con le ossa della gamba, sale sul calcagno chiudendo in tal modo l’articolazione medio-tarsica; il retropiede si verticalizza. L’avampiede aderente tenacemente al suolo reagisce alle forze torcenti applicate sul retropiede; il piede è quindi irrigidito. Viceversa avviene nel rilasciamento dell’elica podalica che è associato alla rotazione interna dell’arto inferiore.
L’astragalo (talus) è un osso con cui non prende rapporto diretto nessun muscolo (non presenta inserzioni muscolari), si muove a seguito delle forze trasmesse dalle ossa adiacenti. L’astragalo è un osso del piede in quanto è solidarizzato al calcagno e allo scafoide (navicolare) nelle rotazioni sul piano sagittale (flesso-estensione) ed è osso della gamba in quanto è solidarizzato con la tibia e il perone, tramite la pinza bimalleolare, nelle rotazioni dei segmenti sovrapodalici sul piano trasverso (intra-extrarotazioni).
Tali rotazioni sul piano frontale (a livello podalico) e sul piano trasverso (a livello degli arti inferiori e del tronco) avvengono costantemente in statica (che in realtà e un caso specifico di deambulazione) e, ancor più, nella deambulazione propriamente detta.
Il ciclo della deambulazione (Fig. 2) è compreso fra i due appoggi calcaneari dello stesso piede ed è costituito da una fase oscillante, ossia non comportante sostegno del corpo, che si verifica tra il distacco delle dita dal suolo e il successivo l’appoggio del tallone dello stesso piede (corrisponde a ca. il 40% del ciclo completo), e la fase portante (occupante ca. il restante 60% del ciclo).
Fig. 2
La fase portante è suddivisibile in:
A) Appoggio calcaneare (ricezione)
Al contatto del calcagno con la superficie di appoggio (ricezione), l’elica si rilascia per consentire la lassità del piede atta ad ammortizzare il peso del corpo e ad adattarsi alla superficie stessa. A tal fine l’arto inferiore ruota internamente, l’astragalo, ad esso solidale, ruota quindi anch’esso internamente (supinando), il calcagno prona, ruotando esternamente. L’assunzione del peso da parte del piede è graduale ed è massima nel momento in cui la linea gravitaria cade nel centro della superficie podalica.
B) Appoggio totale (contatto)
Quando tutta la superficie plantare è a contatto con la superficie, la rotazione (Fig. 3) interna dell’arto si trasforma bruscamente in rotazione esterna. Ciò fa scattare il meccanismo che ha come sede l’articolazione sotto-astragalica.
Fig. 3
Seguendo la rotazione dell’arto, l’astragalo ruota sul piano trasverso esternamente (per circa 12° mediamente) pronando e risalendo al di sopra del calcagno (allontanandosi dal legamento calcaneo-scafoideo-plantare). A sua volta il calcagno ruota internamente, supinando attorno all’asse di compromesso (asse “momentaneo” attorno al quale avviene il processo di prono-supinazione dell’a: il retropiede si verticalizza tramite l’avvitamento reciproco astragalo-calcaneare. Il cuboide, tenacemente collegato al calcagno, migra plantarmente assumendo “sulle sue spalle” la serie dei cuneiformi. L’avampiede si dispone in contrasto rotatorio con il retropiede per la reazione al suolo. Si ha così l’avvolgimento dell’elica podalica e il conseguente “inarcamento” del piede: l’articolazione medio-tarsica è bloccata e si ha il contemporaneo passaggio del peso sul IV e V metatarso per eversione dell’avampiede non ancora rigido. Il muscolo peroniero lungo (lungo peroneo) richiama a contatto col suolo la testa del I metatarso eseguendo un lavoro di stabilizzazione facendo si che il peso sia ora distribuito su tutte le teste metatarsali (ventaglio metatarsale); il piede si trasforma da elica in rigida “barra di leva”.
C) Appoggio digitale (propulsione)
Il calcagno si solleva dal terreno. Le dita dopo essersi adattate tenacemente alla superficie di appoggio si flettono dorsalmente. Ciò fa sì che la aponeurosi plantare si accorcia tendendosi di circa 1 cm (le digitazioni dell’aponeurosi plantare raggiungono le falangi basali corrispondenti, connettendosi al periostio, nei segmenti adiacenti alle articolazioni) innescando il meccanismo dell’argano che completa la coesione intrapodalica. Il centro di gravità del corpo migra ventralmente e il corpo si avvia a cadere in avanti. L’intervento del controllo muscolare, in particolare del muscolo tricipite surale, formato da gastrocnemio e soleo (oltre al tibiale anteriore, tibiale posteriore, peroneo lungo e flessori dorsali) e il tempestivo contatto controlaterale, esercitano azione da freno.
Nella fase propulsiva le forze intrinseche agenti sul piede sono pari a 3-4 volte il peso del corpo. In situazione di corretta fisiologia il piede si comporta a elica in modo tale che la proiezione a terra del baricentro corporeo resti perlopiù centrata ossia passi lungo il proprio asse, che corrisponde all’incirca all’asse podalico, asse passante centralmente al retropiede e al centro tra II e III dito (Paparella Treccia 1978, Pacini 2000).
Quando il ginocchio è in flessione sono possibili movimenti della gamba sia in lateralità (di 1-2 cm alla caviglia) che in rotazione assiale (rotazione esterna di 5°). Ciò risulta necessario per consentire un ottimale appoggio del piede in rapporto all’irregolarità del terreno. In estensione completa invece il ginocchio, essendo sottoposto a importanti forze di carico, presenta, in condizioni fisiologiche, una grande stabilità; si verifica pertanto un blocco articolare che solidarizza la tibia al femore (Kapandji 2002). Pertanto, in condizione di flessione, il ginocchio è in grado di “filtrare” le rotazioni del piede e della gamba mentre, quando esso è completamente esteso, tali rotazioni si trasferiscono integralmente al femore influenzando di conseguenza ilcingolo pelvico (in particolare, l’articolazione coxo-femorale e l’articolazione astragalo-scafoidea sono analogamente strutturate e corrispondentemente disposte).
La rotazione del femore sul piano trasverso comporta una spinta meccanica da parte della superficie articolare del collo femorale sull’acetabolo, la messa in tensione di determinati legamenti dell’anca e lo spostamento dei baricentri degli emisomi (centri di pressione). Così, ad esempio, una intrarotazione del femore può passivamente determinare un’iniziale anteversione (anterior tilt) dell’emibacino corrispondente e, in seguito alla messa in tensione dei legamenti posteriori (legamento ischio-femorale) e dello spostamento anteriore del baricentro dell’emisoma corrispondente, una rotazione del bacino che segue quella del femore. Viceversa, una extrarotazione del femore può indurre retroversione dell’emibacino omolaterale seguita da una corrispondente rotazione del bacino per tensione dei potenti legamenti anteriori (in particolare il fascio superiore del legamento ileo-femorale, denominato l’ileo-pretrocanterico, e il pubo-femorale) e spostamento posteriore del baricentro dell’emisoma relativo.
Nella posizione di riferimento i legamenti dell’anca (Fig. 4) sono moderatamente tesi. Nella rotazione esterna tutti i forti legamenti anteriori sono tesi (la tensione è massima a livello dei fasci a decorso orizzontale ossia l’ileo-pretrocanterico e il legamento pubo-femorale) mentre quelli posteriori (legamento ischio-femorale) è deteso. Nella rotazione interna avviene l’inverso, il legamento ischio-femorale si tende mente i legamenti anteriori si rilasciano (Kapandji 2002).
Fig. 4
La rotazione del bacino si riflette direttamente a livello del rachide lombare (FIG. 5).
Fig. 5
La struttura legamentosa e ossea delle vertebre nonché le caratteristiche di “energy converter” del disco intervertebrale fanno si che sulla colonna vertebrale agisca una “coppia di forze” (coupled motion) (Fig. 6).
Fig. 6
Ciò corrisponde al primordiale e primario bisogno del rachide di ruotare le pelvi nell’atto della locomozione (Gracovetsky, 1988). Pertanto la flessione laterale del tratto lombare si associa sempre a una rotazione vertebrale e viceversa (White & Panjabi, 1978). La modesta capacità di rotazione del tratto lombare (5°, Kapandji 2002) “impone” l’utilizzo di parte del dorso (in grado ruotare per circa 30°, Kapandji 2002), ad esempio, durante la deambulazione.
Affinché però lo sguardo possa dirigersi sempre verso l’orizzonte a livello delle spalle e del tratto dorsale superiore (da D8 in su) necessita una contro-rotazione e una flessione laterale opposta (rispetto al tratto rachideo inferiore e al bacino).
L’atteggiamento scoliotico dell’elica rachidea così come quello del piede piatto (elica podalica svolta) e valgo (elica podalica avvolta) rappresentano quindi fenomeni fisiologici transitori tra loro connessi e divengono patologici solo quando si manifestano in maniera stabile.
Nel contesto della biomeccanica e della patomeccanica, si evidenzia quindi un robusto ponte che connette il piede ai segmenti corporei soprastanti sino a raggiungere potenzialmente le articolazioni cervico-occipitale temporo-mandibolari e viceversa, interessando tramite la rete di tensegrità mio-connettivale l’intero organismo.
BIBLIOGRAFIA
- Gracovetsky S.: The Spinal Engine – Springer-Verlag/Wien (1988)
- Kapandji I.A.: Fisiologia articolare – Maloine Monduzzi Editore (2002)
- Pacini T.: Studio della postura e indagini baropodometrica – Chimat (2000)
- Paparella Treccia R.: Il piede dell’uomo – Verduci Editore (1978)
- White A.A., Panjabi M.M.: Clinical Biomechanics of the Spine – Lippincott (1978)
Note sull’autore:
Il Dr. Giovanni Chetta è Alimentarista a indirizzo biochimico, Massofisioterapista, Posturologo Ergonomista (iscritto all’albo specialistico A.S.Bio.P.), Istruttore MBT e Master Practitioner in Programmazione Neuro-Linguistica.
Collabora in campo posturologico con l’Università Charitè di Berlino, l’equipe di Biomedica Posturale e l’Accademia MBT.
Collabora con riviste e giornali del settore.
Conduce corsi su: posturologia, ginnastica posturale, massaggio (bodywork).
Presidente dell’Associazione Culturale – Sportiva AssoTIB (Alfa/CSAIn/CONI).
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