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ATTIVITÀ FISICA E SPORT IN ETÀ EVOLUTIVA

Giovanni Caldarone – Giovanna Berlutti – Michelangelo Giampietro – Raffaella Spada
(Copyright CENTRO DOCUMENTAZIONE SCIENTIFICA MENARINI)

ATTIVITA' FISICA E SPORT IN ETA' EVOLUTIVA - NuotoATTIVITA' FISICA E SPORT IN ETA' EVOLUTIVA - Nuoto

L’età di avviamento dei bambini alla pratica sportiva trova ancora studiosi e ricercatori preoccupati non solo nel definirla, ma anche e soprattutto nel voler indicare i probabili rischi dell'”agonismo precoce”, senza tenere nel giusto conto i più sicuri danni del “sedentarismo precoce”.
Il bambino libero di muoversi a suo piacimento fino all’età scolare, compatibilmente al luogo in cui vive ed alle possibilità familiari, di fatto si trasforma in un sedentario a tempo pieno, appena comincia a frequentare la scuola elementare. Per lunghe ore starà seduto nei banchi e come se questo non bastasse, continuerà a stare seduto anche a casa per fare i compiti, spesso in alternativa o in associazione ad almeno due ore in media di immobilità televisiva.
Del resto il periodo che va dai 6 anni a 14 anni per entrambi i sessi, a seconda di come viene vissuto dal punto di vista motorio, può condizionare in larga parte il benessere e l’equilibrio psicofisico dall’adulto. Infatti, prima dei grandi sconvolgimenti sociali e delle modificazioni del tenore di vita e delle abitudini prodotti negli ultimi 50 anni dalla rivoluzione industriale, una civiltà povera e prevalentemente contadina imponeva un ritmo di vita in cui il “movimento” era ancora protagonista.
Un simile capovolgimento di tendenza, di abitudini e di ritmi di comportamento ha generato una serie di limitazioni e di condizionamenti, sul piano fisico e psichico, direttamente proporzionali al grado di benessere sociale e, al contempo, di inattività motoria delle popolazioni che venivano interessate da quelle trasformazioni.
Di converso, negli strati sociali dove il tenore di vita era meno sconvolto dal benessere economico e dal diffondersi delle macchine, era estremamente meno frequente il riscontro della “subhealt” cioè dello stato di “sottosalute”, come gli anglosassoni hanno indicato l’insieme dei quadri limite tra la normalità fisiologica e la patologia vera e propria, indotti e sostenuti dal sedentarismo dilagante.

SPORT ED ETÀ EVOLUTIVA

MALATTIA IPOCINETICA E QUADRI PARAMORFICI

La crescente diffusione del benessere economico e della meccanizzazione sono le cause storiche e sociali, ormai universalmente riconosciute, di quella sindrome da mancato o insufficiente esercizio, che Kraus e Raab neI 1961 affidarono alla cultura mondiale col termine di “malattia ipocinetica”. Questa sindrome è caratterizzata dall’interessamento di uno o più dei grandi apparati, fino all’instaurarsi di quei quadri che, nei ragazzi, vanno sotto il nome di “paramorfismi dell’età evolutiva”.
Mentre comuni a tutti i quadri che prenderemo in considerazione sono l’etiologia e la patogenesi, vale a dire rispettivamente l’ipotonia muscolare ed il “non usu” dei vari organi ed apparati (Tab. 1), il grado di interessamento delle strutture organiche implicate spazia in una vasta gamma di quadri paramorfici.

MALATTIA IPOCINETICA(Kraus-Raab 1961)
ETIOLOGIA: IPOTONIA MUSCOLARE
PATOGENESI: “NON USU”

Tab. 1

Riteniamo che il paramorfismo che si mette in evidenza nel corso dell’età evolutiva non è soltanto quello relativo a difetti di portamento o atteggiamenti posturali viziati. L’incapacità da parte dell’apparato cardiocircolatorio di rispondere in maniera adeguata ad uno sforzo, anche di lieve intensità e limitato nel tempo, è un quadro paramorfico di facile riscontro nei giovani, unitamente a modesti valori dei volumi polmonari sia statici che dinamici, con una minore efficienza ventilatoria.
Ma non si possono trascurare, fra i paramorfismi dell’età evolutiva, tutte quelle situazioni psicologiche che caratterizzano il “bambino difficile”, quello la cui socialità risente di fattori ambientali negativi, quello che ha un apprendimento motorio meno vivace della media, quel bambino insomma che, inserito in un gruppo di coetanei praticanti attività fisica organizzata, risentirebbe del beneficio di ricevere un infinità di stimoli educativi sia dal punto di vista motorio che comportamentale.
Per ultimo, consideriamo fra i quadri paramorifici il frequente riscontro di sovrappeso corporeo che, fra l’altro, spesso ingenera altri paramorfismi, specialmente a livello muscolo-scheletrico.
Per quanto concerne i paramorfismi più classici e di facile riscontro ad un semplice esame fisico, vanno ricordati soprattutto quelli legati all’apparato muscolo-scheletrico. In particolare, quindi, “l’atteggiamento scoliotico”, cioè le deviazioni laterali della colonna vertebrale senza rotazione dei corpi vertebrali che, viceversa, è sempre presente nella “scoliosi vera”, permanente ed evolutiva.
Altri paramorfismi dell’apparato di sostegno sono le iperlordosi del tratto lombare della colonna e le cifosi cervico-dorsali di grado modesto, il varismo ed il valgismo delle ginocchia, il valgismo dei piedi e l’appiattimento della volta plantare (Tab. 2).

PARAMORFISMI DELL’APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO
1) Atteggiamento scoliotico
2) Cifosi cervico-dorsale
3) Iperlordosi lombare
4) Varismo e valgismo delle ginocchia
5) Valgismo dei piedi
6) Piede trasverso piano (piede piatto)

Tab. 2

Questi ultimi quadri paramorfici relativi alle ginocchia ed ai piedi vengono frequentemente peggiorati dalla contemporanea presenza di sovrappeso corporeo.
I quadri paramorfici interessanti l’apparato cardiocircolatorio sono insiti nelle peculiarità del muscolo cardiaco e del sistema circolatorio che, in mancanza di stimoli motori adeguati, non si adatta convenientemente a sopportare carichi di lavoro, anche non particolarmente elevati. Infatti il cuore reagisce con un aumento delle frequenze che risulta pertanto antieconomica con conseguente riduzione della gittata sistolica. In tal modo il flusso periferico si riduce, al punto che i tessuti tributari manifestano precocemente i fenomeni della fatica locale.
Il mancato adattamento del torrente circolatorio allo sforzo non consente quel tragitto facilitato, caratterizzato dalle basse resistenze periferiche indotte dall’esercizio fisico, col risultato di elevare la pressione arteriosa media da esercizio.
L’apparato respiratorio del bambino sedentario mostra facilmente una tachipnea da esercizio, con un lento ritorno alla frequenza di riposo, dovuto in particolare alla mancanza di una buona dinamica costo-diaframmatica.
I valori del V02 max, che testimoniano la potenza aerobica dell’individuo e quindi la capacità di prestazioni prolungate, nei soggetti sedentari sono largamente inferiori a quelli attribuiti alla potenza aerobica di un ragazzo sano, anche se riferiti al peso corporeo (V02/kg) (Tab. 3).

PARAMORFISMI DELL’APPARATO
CARDIO-RESPIRATORIO
1) Tachicardia da esercizio
2) Gittata sistolica ridotta
3) Circolazione periferica inadeguata alle richieste
4) Pressione arteriosa media inadeguata alle richieste
5) Potenza aerobica ridotta
6) Volumi polmonari ridotti
7) Tachipnea da esercizio

Tab. 3

In gran parte sostenuta dalle migliorate condizioni socio-economiche ed al contempo dal sedentarismo, possiamo considerare fra i paramorfismi metabolici dell’età evolutiva l’obesità che in alcuni paesi, come il nostro, sta raggiungendo punte del 20% della popolazione giovanile sana. In questi soggetti le difficoltà motorie sono particolarmente tendenti alla cronicizzazione in quanto i bambini mostrano uno scarso dinamismo di base, in parte legato a fattori psico-ambientali (si vergognano di correre, per esempio!), in parte dovuti all’effettiva difficoltà a praticare con destrezza anche una attività fisica fra le più semplici (Tab. 4).

PARAMORFISMI METABOLICI
1) Rapporto pondo-staturale sfavorevole
2) Alterazione del feed-back diencefalico relativo all’appetito
3) Sovrappeso corporeo
4) Alterazione del metabolismo glicidico
5) Alterazione del metabolismo lipidico

Tab. 4

In tutte le osservazioni clinico-statistiche che hanno messo a confronto popolazioni di coetanei praticanti esercizio fisico e sedentari, questi ultimi hanno mostrato una maggiore predisposizione alla instabilità emotiva, alle bugie, alla balbuzie, all’enuresi notturna, all’onicofagia. Inoltre il loro rendimento scolastico risentiva, rispetto ai bambini allenati, proprio della mancanza di un’organizzazione del tempo libero anche in relazione ai programmi di studio domiciliari.
Quadri, questi, che nell’insieme possono essere considerati veri e propri paramorfismi psicologici (Tab. 5).

PARAMORFISMI PSICOLOGICI
1) Instabilità emotiva
2) Bugie
3) Balbuzie
4) Onicofagia
5) Disorganizzazione del tempo libero
6) Ridotta socialità

Tab. 5

BENEFICI DELL’ESERCIZIO FISICO

Al concetto di paramorfismo indotto dalla mancanza di esercizio fisico si contrappone quello della “salute dinamica”, rappresentato dal benessere psico-fisico derivante non soltanto dalla mancanza di malattie o malformazioni, ma altresì caratterizzato da una buona capacità di adattamento al lavoro fisico. Tale condizione può essere ottenuta attraverso l’allenamento sportivo, che anche nei soggetti in età evolutiva, richiede continuità, ritmo e intensità adeguati, tali da promuovere gli opportuni adattamenti a carico dei vari organi e apparati.
L’allenamento sportivo, quindi, è in grado di produrre una serie di benefici e di vantaggi che interessano l’intero organismo, dall’apparato di sostegno al comportamento e alla personalità del ragazzo sportivo.
L’educazione motoria, con l’inevitabile miglioramento delle doti di coordinazione neuro-muscolare, consentirà in tempi brevi, miglioramenti anche vistosi di postura e di atteggiamento.
Le masse muscolari armonicamente e simmetricamente stimolate, senza mai essere sollecitate oltre misura, sosterranno con tono adeguato strutture scheletriche ancora fragili ed in evoluzione non sempre corretta.
L’esecuzione ritmica di gesti sempre più fluidi ed economici favorirà l’agilità e la scioltezza, doti queste in particolare consentite da una migliore mobilità articolare.
Questi benefici potranno influire favorevolmente nel prevenire ed eventualmente correggere i paramorfismi muscolo-scheletrici (Tab. 6).

BENEFICI E VANTAGGI DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO
APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO
1) Postura corretta
2) Masse muscolari simmetricamente toniche
3) Migliore mobilità articolare

Tab. 6

Nell’ambito di un programma multi-mirato, l’inserimento di esercizi di attività sportiva prolungata nel tempo favorirà l’instaurarsi di una migliore resistenza organica.
L’apparato cardio-respiratorio trarrà quindi beneficio dal programma di allenamento, fino a rispondere con la bradicardia e la bradipnea da esercizio, che sono gli effetti di più facile riscontro e più nettamente correlati con un programma sportivo mirato anche al miglioramento delle doti di resistenza organica.
Alla bradicardia infatti corrisponde una gittata sistolica più valida che consente un miglior afflusso ematico fin nei distretti periferici.
Anche la pressione arteriosa si mantiene in un “range” ottimale, e questo, oltre che costituire un indubbio beneficio per il ragazzo, può esercitare una azione preventiva nei confronti dell’ipertensione dell’età adulta. L’apparato respiratorio, oltre che rispondere all’esercizio fisico regolare e continuativo con una riduzione della frequenza respiratoria, produrrà nel bambino un miglioramento anche della capacità respiratoria, grazie ad una più efficace dinamica costo-diaframmatica (Tab. 7).

BENEFICI E VANTAGGI DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO
APPARATO CARDIO-RESPIRATORIO
1) Bradicardia
2) Rapido recupero dopo sforzo
3) Valida gittata sistolica
4) Pressione arteriosa favorevole
5) Incremento dell’irrorazione periferica (capillarizzazione)
6) Facilitato ritorno venoso
7) Incremento della potenza aerobica
8) Bradipnea
9) Rapida normalizzazione dopo sforzo della frequenza respiratoria-
10) Incremento dei volumi polmonari

Tab. 7

L’aumentato dispendio energetico che si verifica nell’attuare un programma di allenamento sportivo rappresenta il principale fattore di prevenzione in grado di correggere il sovrappeso corporeo nei bambini. Naturalmente, il buon successo di una difficile battaglia come quella contro l’obesità non può disgiungersi dall’adozione di un regime alimentare rapportato alle effettive esigenze metaboliche del soggetto e ad un’educazione alimentare appropriata e rivolta anche all’ambiente familiare.
Acquisizioni recenti avrebbero fra l’altro dimostrato che la sedentarietà altera, a livello centrale, il senso dell’appetito e l’autocontrollo, mentre al contrario, la pratica regolare di un allenamento sportivo ristabilisce il meccanismo di feed-back a livello diencefalico, col risultato di riportare la sensazione di fame ad adattarsi ai dispendi energetici reali (Tab. 8).

BENEFICI E VANTAGGI DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO
SISTEMA ENDOCRINO-METABOLICO
1) Aumento del metabolismo basale e del dispendio energetico
2) Rapporto pondo-staturale favorevole
3) Aumento della massa magra attiva e
corrispondente riduzione della massa grassa passiva
4) Regolazione del feed-back diencefalico con controllo dell’appetito
5) Corretto assetto lipidico
6) Fisiologica risposta neuro-endocrina
(incremento delle catecolamine, del GH, del TSH, dell’ACTH)

Tab. 8

Il confronto con i coetanei, l’emulazione, l’interesse per l’apprendimento di schemi motori sempre diversi, la soddisfazione di imparare esercizi a difficoltà progressivamente crescenti, l’approvazione e l’elogio dell’istruttore o, al contrario, il suo rimprovero, sono solo una parte delle infinite implicazioni psicologiche legate all’ambiente ed alle motivazioni di una corretta pratica sportiva.
Il miglioramento dell’autostima, il controllo dell’emotività, l’incremento dell’indice di socialità e di inserimento fra i coetanei, la maggiore tolleranza alle frustrazioni, un giusto controllo dell’ansia, sono fra le componenti della personalità che maggiormente risentono beneficio dalla pratica e dall’ambiente sportivo (Tab. 9).

BENEFICI E VANTAGGI DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO
PERSONALITÀ E COMPORTAMENTO
1) Buon controllo emotivo
2) Buona adattabilità
3) Buona capacità di socializzazione
4) Maggiore tolleranza alle frustrazioni
5) Valida autostima

Tab. 9

QUALITÀ FISICHE ALLENABILI NELL’ETÀ EVOLUTIVA

Non tutte le qualità motorie fondamentali possono essere allenate in età evolutiva. In particolare, al di sotto del 14° anno di età, è possibile allenare la destrezza (base tecnica), la mobilità articolare e la resistenza. Lo sviluppo delle capacità coordinative e della flessibilità sarà particolarmente curato nelle prime fasce di età in quanto generalmente queste qualità motorie hanno un limitato margine di miglioramento dopo i dieci anni di età e ancora meno dopo la pubertà.
La destrezza è la qualità fisica caratterizzata principalmente dalla sollecitazione degli apparati neuro-sensoriali che concorrono nel realizzare atti motori estremamente precisi (secondo la definizione suggerita da A. Dal Monte). La destrezza, infatti, è la capacità di compiere determinati movimenti in maniera rapida, precisa e armonica con impegno muscolare diverso nelle varie discipline sportive in cui tale qualità è richiesta e necessaria.
I bambini e poi i ragazzi possono acquisire automatismi motori con elevato indice di coordinazione neuro-muscolare e di mobilità articolare, sfruttando appunto la fisiologica capacità di imparare gesti tecnici anche complessi e sofisticati, propria della loro età.
Infatti Io sviluppo della coordinazione del movimento e la capacità di apprendere gesti nuovi e complessi dipende in gran parte dalla maturazione del sistema nervoso e in particolare dal processo di mielinizzazione delle fibre nervose motorie (tra i 4 ed i 7 anni) (Fig. 1).

Fig. 1 – Curva di crescita del sistema nervoso centrale (Da Nicoletti I.)

Esiste quindi una correlazione fra lo sviluppo delle capacità motorie e del S.N.C. che consente e sostiene il miglioramento della destrezza e della velocità già nei primi anni di vita.
La resistenza è una altra qualità motoria allenabile nei bambini anche molto giovani (già dai 4-5 anni di età). I numerosi lavori di Astrand, Cerretelli, Robinson, Di Prampero e Bar-Or hanno evidenziato una capacità di lavoro aerobico (V02 max, cioè massimo consumo di ossigeno) particolarmente favorevole nei soggetti di età evolutiva. Tale dato è confermato dal comportamento del rapporto V02 max/kg di peso corporeo, indice della potenza del lavoro. La capacità di prestazioni prolungate aumenta in entrambi i sessi, senza variazioni significative fino ai 13 anni di età, raggiungendo il massimo valore nella femmina tra i 12 e i 14 anni, nel maschio tra i 14 e 17 anni (Fig. 2A-2B).


A


B

Fig. 2 – Massimo consumo di ossigeno in l/min (A) ed in ml/Kg/min (B). Le due linee superiori del quadrante B si riferiscono al consumo di ossigeno in relazione al peso corporeo magro (Da Cerretelli 1985)

Dall’osservazione dei bambini nei loro giochi spontanei si potrebbe pensare che essi prediligano esercizi brevi, salti e scatti, che impegnano soprattutto le fonti energetiche anaerobiche. Tale comportamento però sarebbe dettato più da un particolare atteggiamento psicologico del bambino che da una insufficiente capacità aerobica. Infatti solo verso i 20 anni di età si riscontrano i più alti valori di capacità anaerobica lattacida (attività della durata di qualche decina di secondi, fino a 40-45 secondi) mentre la capacità di lavoro anaerobico alattacido (attività di potenza, della durata di 4-5 secondi) è massima verso i 15-16 anni. Pertanto le caratteristiche bioenergetiche del soggetto in età evolutiva sono tali da consentirgli buone prestazioni di resistenza (metabolismo aerobico) e di brevissima durata (metabolismo anaerobico alattacido), mal sopportando alte concentrazioni di acido lattico nei muscoli (circa il 35% in meno rispetto all’adulto).
Mentre l’inserimento in un programma di allenamento per soggetti in età evolutiva di elementi finalizzati allo sviluppo della velocità non desta come abbiamo visto, particolari motivi di preoccupazione, al contrario l’inserimento di elementi finalizzati all’allenamento della forza a questa età può risultare pericoloso. Lo sviluppo della capacità forza dipende soprattutto dal livello di produzione ormonale: testosterone, tiroxina e ormone della crescita. Nel periodo che va dalla terza infanzia alla pubertà, non si è ancora raggiunta la completa e definitiva capacità di resistenza al carico delle strutture dell’apparato locomotore. Il rischio dunque di arrecare danni a queste strutture impedisce la pratica di attività fisiche intense e prolungate proprie delle metodiche di allenamento della forza.
La massima forza isometrica progredisce linearmente fino alla pubertà per poi aumentare in maniera esponenziale. Pertanto, prima del 14° anno di età, è sconsigliabile allenare la forza utilizzando le tecniche di muscolazione isometriche e con pesi. Secondo il metodologo russo Filin, fino ai 12 anni circa, il carico di lavoro deve essere proporzionato al peso corporeo del giovane atleta; si può cioè allenare solo la cosiddetta “forza relativa“. La “forza assoluta” invece, può essere allenata e migliorata solo quando si sia verificato l’aumento di produzione del testosterone, la sua liberazione e la sensibilizzazione periferica ad esso.
In ogni caso, anche negli atleti giovanissimi, è possibile gettare le basi dell’allenamento della forza esercitandoli con attrezzi molto leggeri, al solo scopo di insegnare loro il corretto uso degli stessi attrezzi, consolidando così l’acquisizione dei processi motori e il controllo dei movimenti.
In tal modo si otterrà anche il risultato, non trascurabile, di prevenire la ben nota e purtroppo frequente patologia traumatica, sia acuta, sia da sovraccarico funzionale, tipica delle sale di muscolazione.
Per quanto in età evolutiva siano sempre da preferire e consigliare quelle attività di agilità e destrezza che non implichino eccessive sollecitazioni sulla colonna e sugli arti inferiori, studi recenti suggeriscono, invero, la possibilità di allenare in età compresa tra gli 8 e i 12-13 anni la “forza veloce” in quanto questa particolare qualità motoria dipende più dalle strutture nervose che da quelle biofisiche del muscolo stesso.
Pertanto le attività motorie basate su gesti veloci e brevi non presentano alcuna controindicazione e quindi possono essere praticate dai giovani sportivi.

CARATTERISTICHE DEL PROGRAMMA DI ALLENAMENTO IN ETÀ EVOLUTIVA

Nell’avviare i soggetti in età evolutiva alla pratica di una qualsiasi attività motoria, è indispensabile che i programmi di allenamento rispettino le caratteristiche morfologiche e funzionali dei piccoli sportivi interessati. In generale, tali programmi dovranno in maniera preponderante essere dedicati al miglioramento di tutte le qualità fisiche del soggetto, dando però maggior spazio all’apprendimento delle tecniche sportive ed all’incremento delle qualità fisiche non necessariamente allenabili attraverso elevati carichi di lavoro.
Si tratta pertanto di migliorare in particolare la destrezza, la rapidità di esecuzione, la mobilità articolare; in dose giusta le doti di resistenza organica, mentre le qualità relative alla forza muscolare (forza massimale, forza resistente ed esplosiva) possono essere potenziate più in là nel tempo, a sviluppo puberale avvenuto.
Requisito fondamentale in età giovanile è la “multilateralità” del programma di allenamento, il cui scopo principale deve essere sempre quello di ottenere un miglioramento globale di tutte le qualità fisiche così da consentire al ragazzo una maggiore duttilità e la possibilità nel tempo di margini di miglioramento più ampi.
L’esercizio fisico deve essere organizzato e strutturato come “allenamento sportivo” attraverso il quale i ragazzi possano apprendere una elevata quantità di movimenti. Qualunque sport pratichi, il ragazzo sportivo non deve svolgere un’attività di allenamento “unilaterale” intesa a incrementare una sola qualità fisica.
Infatti, un programma di attività fisica “unilaterale e standardizzato” ha come obbiettivo quello di allenare e sviluppare prevalentemente la qualità fisica principale della disciplina sportiva praticata. A tale fine vengono adottati programmi di allenamento che utilizzano pochi e ripetitivi gesti, col rischio quasi inevitabile, di rallentare o ancor peggio, di bloccare i processi di apprendimento motorio del bambino.
Al contrario, un allenamento “multilaterale” favorisce lo sviluppo parallelo e contemporaneo delle qualità psicofisiche allenabili nel ragazzo in quanto utilizza esercitazioni varie, alternate e polivalenti.
Pertanto la multilateralità del processo di allenamento deve essere il principio informatore dell’allenamento in età giovanile. Nel giovane sportivo anche i carichi di allenamento andranno distribuiti in maniera equa tra le numerose qualità fisiche, valorizzando sempre più, nel tempo, quelle specifiche per la disciplina praticata. La risposta adattativa a questi stimoli consentirà un miglioramento dell’efficienza fisica globale, e quindi una più idonea capacità a compiere lavori muscolari sia generali che specifici.
In un corretto programma di allenamento il bambino, qualunque sia lo sport prescelto, passa attraverso una lunga fase di allenamento generale e solo in seguito viene avviato all’apprendimento dei gesti sportivi specifici della disciplina prescelta. I metodi di lavoro non devono mai tralasciare la caratteristica di risultare interessanti e piacevoli; solo così l’allenamento sportivo può diventare “gioco organizzato”.

AVVIAMENTO ALLA PRATICA SPORTIVA

Per i primi due anni l’allenamento sarà rivolto al miglioramento della destrezza, della mobilità articolare, dell’agilità, della fluidità ed economia dei movimenti; in definitiva sarà dedicato all’apprendimento di quelle tecniche che rappresentano la base del secondo stadio di allenamento, cioè quello che sarà intrapreso al momento della specializzazione sportiva.
Solo intorno ai 9-10 anni, quindi, possiamo dedicarci ai programmi di allenamento che saranno rivolti all’acquisizione dell’abilità tecnica specifica in senso stretto (Fig. 3).

Fig. 3

Tuttavia è sempre difficile generalizzare concetti relativi all’età di avviamento alla pratica dello sport, alla specializzazione sportiva e soprattutto alla partecipazione alle competizioni. Spesso all’età anagrafica non corrisponde un’età fisiologica proporzionata. Quel che è certo è che prima di passare alla fase successiva dell’iniziazione sportiva, bisogna essere ben sicuri che il materiale umano a nostra disposizione sia stato preliminarmente ritenuto perfettamente sano da un controllo medico qualificato.
All’esperienza ed alla sensibilità dell’istruttore è affidato, successivamente, il criterio di scelta per l’attuazione di programmi di allenamento gradualmente più impegnativi, sempre nel rispetto delle caratteristiche psicofisiche individuali e del grado di maturazione biologica del soggetto.
Per quanto concerne la tutela sanitaria delle attività sportive, la legislazione del nostro Paese prevede l’accertamento della idoneità fisica di tutti gli sportivi, distinti tra praticanti attività ludico-addestrative non agonistiche e attività agonistiche in senso stretto.
Le più recenti normative ministeriali stabiliscono che è compito dello specialista in medicina dello sport, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta del S.S.N., accertare e certificare lo stato di buona salute di tutti coloro che intendono intraprendere la pratica non agonistica di una qualsivoglia disciplina sportiva.
Il legislatore nel rendere obbligatorio e periodico tale accertamento, ha inteso realizzare un importane presidio preventivo, attraverso la selezione dei soggetti idonei, escludendo tutti quelli affetti da patologie invalidanti a volte misconosciute. Nel contempo si è preoccupato di verificare che la pratica sportiva non fosse responsabile della insorgenza di forme morbose incompatibili con la prosecuzione della stessa.
Per gli sportivi agonisti, anche se ancora in età evolutiva, l’accertamento della idoneità fisica è affidato agli Specialisti in Medicina dello Sport, secondo le specifiche norme di attuazione emesse dai competenti organi regionali.
Per l’idoneità sportiva ogni singola Federazione Sportiva del CONI ha stabilito quali atleti debbano essere considerati agonisti e quali non. L’accertamento di tale idoneità prevede un differente protocollo clinico-diagnostico.
Infatti per le attività non agonistiche è sufficiente la visita clinica generale, salvo diverso parere del medico certificante. Al contrario, per le attività agonistiche sono comunque obbligatori alcuni accertamenti diagnostici specialistici e strumentali (elettrocardiogramma a riposo e dopo sforzo, esame spirografico, esame completo delle urine).

DISCIPLINE SPORTIVE PER L’ETÀ EVOLUTIVA

La disciplina sportiva praticata dai ragazzi in età evolutiva risente il più delle volte delle scelte e delle preferenze dei genitori. Molto raramente il bambino può decidere in proprio, tanto che quando ciò si verifica, si parla di vera e propria “vocazione”.
In genere questa è molto spiccata verso quelle discipline sportive più diffuse a livello di informazione, ma è soprattutto l’ambiente familiare, con le sue abitudini e le sue tradizioni, che fa nascere nel bambino la “vocazione” per uno specifico sport.
Tuttavia qualsiasi tipo di attività motoria organizzata, se scelta autonomamente dal bambino, va incoraggiata in quanto, evidentemente, essa possiede i giusti requisiti per motivare adeguatamente il giovanissimo sportivo.
A nostro avviso il momento della iniziazione sportiva dovrebbe avvalersi anche della conoscenza scientifica e della esperienza specifica degli operatori sportivi (medici specialisti e tecnici) che, nel rispetto delle libere scelte del bambino, siano comunque in grado di consigliargli, tra le tante discipline sportive, quelle che meglio si addicono alle sue caratteristiche cliniche, morfo-funzionali e psicologiche.
Per tutto quanto è stato sin qui detto a proposito delle caratteristiche antropometriche e fisiologiche dei soggetti in età evolutiva, delle particolarità delle varie qualità fisiche e della loro evoluzione nel tempo, nonché delle peculiarità dei gesti tecnici e dei regolamenti delle varie discipline sportive, riteniamo che per i ragazzi in età tra i 6 e i 14 anni, senza differenza di sesso, siano proponibili in particolare gli sport di destrezza e gli sport di squadra.
Tra i primi, la ginnastica ricopre certamente un ruolo fondamentale, sia come attività motoria di base e propedeutica per tutte le discipline sportive, sia come attività sportiva specifica tra le più complete e armoniche.
Infatti la ginnastica impegna qualità fisiche spontaneamente ben sviluppate nei giovanissimi ed inoltre è in grado di impartire una educazione motoria che rappresenterà nel tempo, un insostituibile e prezioso patrimonio di esperienze destinate a durare nel tempo.
Il bambino che pratica ginnastica, se confrontato con coetanei sportivi di altre discipline, si distingue facilmente. Sa stare in piedi in maniera impettita e tonica, sta seduto correttamente, sa compiere rapidamente e in maniera efficace movimenti anche insoliti e complessi; insomma è un piccolo atleta che conosce il suo fisico e lo sa orientare nello spazio.
Per lungo tempo si è dibattuta nel mondo medico l’opportunità di avviare i giovanissimi verso la pratica di discipline sportive cosiddette ad impegno monolaterale, scherma e tennis in particolare.
In realtà questa controversia non trova obiettive giustificazioni, in quanto, a nostro avviso, se i programmi di allenamento, anche di queste discipline, vengono realizzati nei tempi opportuni e nei modi corretti, essi non possono arrecare alcun danno alle strutture del bambino; ma al contrario ne favoriscono lo sviluppo armonico, consentendone la più completa espressione dei requisiti eredo-costituzionali.
Nella scherma all’esaltazione della lealtà che porta l’atleta “toccato” dall’arma dell’avversario a farlo presente al giudice prima ancora che questi assegni la stoccata, fa riscontro la vivacità e la foga degli assalti,in quanto il regolamento di questo sport premia chi prende l’iniziativa, cioè chi “attacca”.
Tutto ciò non può che incidere positivamente nella strutturazione psico-pedagogica di un giovane.
Il piccolo schermitore andrà scelto tra quei soggetti con caratteristiche di grande vivacità fisica e intellettiva, al contempo la scherma può risultare utile anche a chi mostra, fin da bambino, una scarsa sicurezza in se stesso e una certa tendenza a tirarsi indietro, a mimetizzarsi tra gli altri. Per i primi può essere la disciplina sportiva ideale, per i secondi può rappresentare la via attraverso la quale potersi sentire più forti e più sicuri, sfruttando le sollecitazioni psicologiche che la pratica della scherma induce.
Quanto a doti fisiche, la scherma necessita di favorevole prestanza atletica con buona dotazione muscolare che verrà allenata ed esaltata specie nell’impegno breve e veloce.
Un particolare tipo di destrezza motoria è quello che si realizza in acqua, legato all’acquisizione delle tecniche di galleggiamento e di avanzamento dei vari stili di nuoto.
Il nuoto quindi può essere indicato come sport di iniziazione in quanto consentirà al bambino di imparare a muoversi in un mezzo naturale e a lui congeniale.
La muscolatura generale sarà impegnata senza il carico del proprio peso corporeo, ma al contempo consentirà un adeguato e buon sviluppo delle funzioni cardio-respiratorie.
Il nuoto al di là dei benefici sin qui elencati, può inoltre diventare nel tempo la disciplina sportiva agonistica definitiva, oppure costituirà una parte della preparazione fisica generale di altre discipline sportive.
Anche la pratica dell’atletica leggera può inizialmente far parte delle attività sportive di iniziazione, quando attraverso lo stimolo della coordinazione neuro-muscolare e più generalmente della destrezza, il bambino viene avviato ad apprendere l’ampia gamma di gesti specifici di questo sport (marcia, corse, salti, lanci).
Con le denominazione di “Sport di squadra” si intendono i giochi sportivi, cioè quelle attività atletiche caratterizzate dalla corsa e dal contrasto per impadronirsi di una palla o un attrezzo rotondeggiante che il giocatore tenterà di indirizzare verso una rete o una meta.
I più noti e diffusi sono il calcio, la pallacanestro, la pallavolo, il rugby, la pallamano, l’hockey su prato; ma fanno parte dei giochi di squadra anche la pallanuoto, l’hockey a rotelle e l’hockey su ghiaccio, basati sempre sullo stesso principio, ma praticati su terreni di gioco particolari (in acqua, su legno, su ghiaccio, ecc.).
Questi sport hanno il vantaggio di essere fondamentalmente dei giochi, praticati sportivamente e quindi con necessità di sviluppare in pratica tutte le doti atletiche, ma in grado di conservare l’aspetto più affascinante della pratica sportiva, l’aspetto “ludico”, cioè il piacere di correre e di contrastare divertendosi, fino all’esaltazione che si raggiunge nel momento di segnare una rete o un canestro o una meta.
In tutti i giochi sportivi si corre, si salta, si nuota, si schettina, insomma si sollecitano non solo le strutture muscolo-scheletriche (trasportando solo se stessi, senza sovraccarichi!), ma anche e soprattutto i grandi apparati, cioè l’apparato cardiocircolatorio e quello respiratorio, che devono garantire il rifornimento energetico richiesto dallo specifico lavoro muscolare.
Tuttavia per adattare con gradualità i giovanissimi all’impegno di questi sport, esistono il calcio giocato mettendo le porte sui due lati più vicini del normale rettangolo di gioco, il minibasket, il minirugby, ecc. che non sono altro che un ridimensionamento delle regole e delle difficoltà di questi sport per non rischiare di affaticare eccessivamente questi mini-atleti.
L’unico problema della pratica dei giochi sportivi può essere rappresentato dalla possibilità che i contrasti dei giocatori per impossessarsi della palla o comunque dell’attrezzo, possano generare traumatismi. Ma questo rappresenta un evento remoto e ad ogni modo non tale da rappresentare una limitazione o un pericolo per la pratica di questi sport.
Nei giovanissimi infatti mancano le motivazioni e le intenzioni di fare “fallo” e quindi di danneggiare fisicamente l’avversario; inoltre viene loro insegnato più a “evitare” che non ad “affrontare” l’avversario stesso.
Dalla terza infanzia fino alla pubertà l’allenamento sportivo deve far parte delle componenti educative irrinunciabili, perché lo riteniamo tra le più formative della personalità, delle strutture e degli apparati del soggetto in evoluzione psico-somatica. Come, infatti, ormai si è certi dell’influenza dell’ambiente familiare, della scolarità, del tipo di alimentazione, delle previdenze igieniche e di profilassi, del controllo sanitario periodico, considerate conoscenze e conquiste qualificanti di un contesto civile e moderno, così crediamo sia nostro compito mirare ad una sempre maggiore diffusione ed affermazione della pratica sportiva.
In conclusione a nostro avviso la pratica di una attività sportiva organizzata da parte di bambini e ragazzi non solo non è dannosa, ma rappresenta un fondamentale bisogno sia preventivo, sia fisiologico, sia psicologico. Solo la pratica di una attività sportiva organizzata consente infatti nella società moderna di svolgere quell’attività fisica che sola può prevenire i danni prodotti dal sedentarismo, oggigiorno in continuo aumento.
Il medico ha quindi il compito di incoraggiare la pratica sportiva e nel contempo di prevenirne gli eccessi. La sua funzione di guida e di incoraggiamento inoltre, dovrà svolgersi prendendo a riferimento l’individuale espressione biologica del ragazzo, non limitandosi quindi a seguire rigidi schematismi cronologici.

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